Allevi all’Aquila: «Torno a casa»

17 Dicembre 2009

Domani il compositore e pianista nell’auditorium della Finanza.

Semplice, immediato, diretto, per niente divo, pacato anche nel rispondere a chi lo attacca.
Giovanni Allevi, 40 anni, pianista, compositore, laureato in Filosofia, ascolano e per metà abruzzese (la madre è di Teramo), figlio di due musicisti, è l’artista che ha portato masse di giovani (da cui è idolatrato) ad avvicinarsi alla cultura delle note ma che dall’establishment della musica colta viene visto con sospetto, quando non con dichiarata avversione. Allevi domani sarà in concerto all’Aquila (si veda riquadro). Nell’intervista che segue parla del suo rapporto con l’Abruzzo, con L’Aquila, della sua musica e anche dell’imitazione che gli dedica spesso Checco Zalone (Luca Medici).

Qual è il senso del suo concerto all’Aquila, una città per tanti versi simile alla sua Ascoli?
«Sarà per me l’occasione di entrare in contatto con l’umanità vera e sono onorato dell’invito degli aquilani. In un momento così difficile anche per quello che ci sta circondando, mi piacerebbe poter passare assieme al pubblico un momento di serenità. Anche se solo per un’ora».

Lei si è esibito all’Aquila l’anno scorso (il 17 aprile). Ha rivisto la città dopo il sisma?
«Io sono per metà abruzzese, mia madre è di Teramo, e da piccolino ho fatto anche l’esame del quinto di pianoforte al conservatorio Casella. L’anno scorso mi sono esibito proprio nell’auditorium della Finanza. Mi sento molto vicino all’Aquila. Tutto quello che ho visto del terremoto, però, l’ho visto in tv. So che tornarci sarà un’esperienza molto forte alla quale mi accosto con la massima umiltà e rispetto per chi sta soffrendo. Non mi sento un protagonista ma sono orgoglioso dell’affetto che gli aquilani mi rivolgono nonostante la loro condizione. Sono tornato da circa 20 giorni dalla tournée americana e in questo periodo natalizio non era previsto alcun concerto, quindi è la mia prima apparizione italiana. Per me ha un significato fortissimo e lo vivo come un ritorno a casa».

Come intende la sua musica? Musica classica di oggi, musica per tutti, musica easy listening, o, come recita un adagio sempre valido, esistono solo due generi di musica quella buona e quella cattiva?
«(Ride). Tecnicamente è una musica classica che racconta il nostro tempo e per questo motivo, soprattutto i giovani l’hanno onorata della loro attenzione e della loro emozione. Questo è un dono che ricevo, che considero misterioso e di cui sarò sempre grato. Sostanzialmente, al di là delle definizioni, è il modo che io ho per amare il mondo e questo nostro tempo. E’ un grido d’amore».

Come riesce a scatenare l’entusiasmo dei giovani, che spesso sono lontani dalla musica colta?
«Intanto i giovani di oggi sono una realtà straordinaria. Sono persone sensibili alla poesia, sono colti e curiosi nei confronti di tutto ciò che è nuovo e sono anche liberi dal pregiudizio, sono anime pure. Io cerco di imparare molto da loro e quindi è per me un privilegio pensare che abbiano eletto la mia musica a colonna sonora della loro esistenza».

Un compositore di musica contemporanea, scomparso nel 2000, Franco Donatoni, diceva che i compositori di musica colta oggi sono rinchiusi in una sorta di riserva da indiani. Il suo è un tentativo di uscire da questa riserva?
«Assolutamente sì. Io ho amato follemente la musica di Donatoni, e la sua innovazione ritmica. Posso affermare che se non ci fosse stato Donatoni non ci sarebbe una mia composizione come 300 anelli, che vive degli stessi moduli ritmici. Solo che ho sentito che dentro quella riserva cominciava a mancare l’aria. Ed è diventata un’esigenza vitale, per me, spalancare le finestre della torre d’avorio e ritrovare un contatto diretto e profondo con il sentire comune. Da qui, il mio sogno visionario, che non sarebbe stato possibile se il pubblico non mi avesse preso per mano. La scuola di Donatoni ha scelto la complessità matematica come punto di riferimento, però è importante conoscerla e ha rappresentato un periodo storico ben definito. Grazie a quella complessità oggi io posso scegliere la semplicità».

Perché c’è questa forte contrapposizione tra lei e l’establishment della musica classica in Italia? Sono state feroci le critiche che le ha rivolto Uto Ughi e lei altrettanto ferocemente gli ha risposto.
«No, le mie risposte non sono mai state feroci. Sono sempre stato limpido, sereno e non ho mai ceduto alla tentazione di abbassarmi sullo stesso livello della conversazione. Perché c’è questo attacco? Perché il pubblico, e soprattutto i giovani, mi hanno posto in testa la corona del genio senza passare attraverso i sacerdoti della casta. Io trovo tutto ciò assolutamente entusiasmante».

Ma lei si sente un genio?
«Io non so cosa sono, cosa farò domani mattina. Percepisco la mia esistenza e quella degli altri come un mistero, figuriamoci se posso sapere di essere un genio. Qualcuno dice che comunque è molto probabile che lo sia».

Quanto le fa ridere Checco Zalone quando la imita?
«Checco Zalone è meraviglioso. Non aggiungo altro, mi è piaciuto tantissimo».