Ballestra: «L'iPad non mi piace»

28 Settembre 2010

La scrittrice sarà sabato in Abruzzo e parla di letteratura e di nuovi autori

«Compleanno dell'iguana» e «La guerra degli Antò» l'hanno catapultata, quasi 20 anni fa, dalla provincia alla capitale dell'editoria. Lei è Silvia Ballestra da San Benedetto del Tronto, ma i suoi primi due libri (che poi hanno dato vita al film «La guerra degli Antò», diretto da Riccardo Milani) sono ambientati tra Montesilvano e Pescara. Uno dei protagonisti, Antò lu zorru, fa il cronista per il Centro.

Silvia Ballestra, che nel frattempo è diventata una delle più apprezzate autrici italiane e vive a Milano, sarà l'ospite d'onore del festival «Montesilvano scrive» (si veda riquadro), in programma da venerdì a domenica prossimi. La scrittrice, che sarà a Montesilvano sabato 2, ha rilasciato al Centro l'intervista che segue.

Lei ha esordito con due romanzi ambientati tra Pescara e Montesilvano, tra i protagonisti anche un giornalista del Centro, forse per sviare i riferimenti alla sua San Benedetto?
«No, erano romanzi di finzione totale, ma sono stati ispirati da un gruppo di persone che conoscevo, dai tempi marchigiani, che poi ho avuto modo di osservare a Bologna. Erano degli studenti universitari fuori sede. All'epoca si girava molto, soprattutto per andare a vedere i concerti. Devo dire che all'epoca l'Abruzzo, rispetto alle Marche, era molto più vivace, soprattutto Pescara ma anche Giulianova».

Ma esiste il giornalista del Centro a cui si è ispirata? In redazione all'epoca si era creata una sorta di caccia.
«No, (ride), il giornalista non mi è stato ispirato da un vostro collega vero. il Centro era, ed è, il giornale più importante dell'Abruzzo, e quindi è stato normale inserirlo nella storia. Giro molto e ho modo di vedere tanti giornali regionali. Sulla stampa locale a volte ho delle perplessità ma il vostro è veramente un ottimo giornale».

L'ultimo suo lavoro, «I giorni della rotonda» (Rizzoli, 384 pagine, 18,50 euro) ambientato a San Benedetto del Tronto, è un romanzo, come dice sul suo sito Internet, storico. E' molto autobiografico, o no?
«E' diviso in tre parti, quella più autobiografica è la terza. Invece le altre due sono molto precedenti ed è una parte di storia che non ho vissuto direttamente. E' un po' un mostrare gli effetti della memoria, della sedimentazione, dell'elaborazione di alcune cose che sono successe prima e di come si riflettono sulla vita di chi arriva dopo. Certamente è molto autobiografico. Il filo conduttore è uno squarcio della provincia italiana degli anni Ottanta, la storia dell'Italia di quegli anni».

Dal suo esordio al suo ultimo lavoro c'è un salto di quasi vent'anni. In mezzo tanti altri volumi molti dei quali con un aspetto forte di impegno sociale a favore delle donne. Ce n'è ancora molto bisogno nell'Occidente evoluto?
«Nell'Occidente evoluto non lo so, in Italia di sicuro. Non so se ha visto la trasmissione di Iacona ieri sera ("Presadiretta", su Raitre dedicato alle donne, ndr): siamo talmente arretrati che in Europa siamo all'ultimo posto. Non dovremmo essere messi così!».

A fine settimana sarà l'ospite principale del festival a Montesilvano organizzato da un giovane scrittore come Alessio Romano. Lei è giovane, ma non più giovanissima. Come vede il mondo dell'editoria italiana, dei giovani in particolare?
«Il mondo dell'editoria italiana mi sembra messo un po' male. Negli anni Novanta ho assistito a un primo cambiamento, da una situazione quasi artigianale a una di mercato sempre più spinta. E questo non va bene per nessuno, questa logica imprenditoriale va a scapito della qualità. Secondo me si potrebbe fare una politica di mercato guardando alla qualità, ma non si fa. I giovani autori oggi sono molto coccolati dalle case editrici, ma di 100 che ne vengono sparati fuori solo uno ce la fa. Quindi si riflette pari pari la stessa cosa che avviene nel mondo del lavoro. I giovani non li paghi, non hanno grosse esigenze, quindi fanno molto comodo. Ma quando uno non va più bene ce n'è subito un altro che può sostituirlo. Prima non era così e io ho fatto molta resistenza alle richieste degli editori, forse anche troppa».

I più moderni supporti elettronici, dall'iPad ai nuovi tablet, promettono di scalzare il libro. Sembra che i lettori stiano aumentando, cioè persone che non leggono «su carta» si interessano ai nuovi mezzi elettronici. Lei come vede questa rivoluzione per l'editoria?
«Vedo, intanto, che gli editori sono terrorizzati, checché ne dicano. Sono terrorizzati forse perché, come è accaduto per le case discografiche, tutta una serie di passaggi verranno saltati e quindi una grossa zona dell'editoria verrebbe sottratta al loro controllo e tutela. Probabilmente un bambino di oggi non avrà nessun problema a leggere i libri o i giornali sui mezzi elettronici. A me non piacciono. Proprio ieri ho fatto un giro, sono andata a vedere gli iPad e tutto il resto, ma non mi convincono. Capisco che sarà una posizione sempre più minoritaria, la mia, ma, per esempio, preferisco la carta, anche per i giornali. Una cosa positiva, invece, è che così ci sarà più spazio per i cataloghi, perché ormai in libreria ci sono solo le novità».

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