L’intervista di Luca Telese a Baldini: «Troverò un accordo con il club. Voglio la serie A con il Pescara»

Il direttore del Centro a casa del mister biancazzurro per un’intervista a tutto tondo: «Il cattivo carattere è stato un fattore limitante nella carriera. Ma la promozione è figlia del cattivo carattere. Sono anarchico, come i migliori di queste terre. Se mi togli la famiglia muoio»
PESCARA. Arrivare a Massa, davanti al cancello della villa di Silvio Baldini. C’è una torre rosso sangue, bordata di bianco panna, che svetta sull’architettura della casa. Ci sono grandi finestre, un giardino da sogno costruito intorno ad una pineta quasi secolare: venti anni fa c’erano solo un casale e una selva abbandonata in mano agli spacciatori. Oggi questa bellissima casa è il simbolo della famiglia Baldini: c’è un canile che pare un hotel a cinque stelle, ci sono le palme, i fiori colorati, e la straordinaria famiglia allargata: moglie, figli, nipotini, che il mister del Pescara accompagna nel parco.
Allora mister, resti a Pescara o no?
(Ride). «Ehhh! Ma se ti rispondo subito hai fatto cinquecento chilometri di strada per nulla».
Però rendiamo felici i tifosi del Pescara.
«Ma devono già esserlo. Pescara è nel mio cuore e ci sarà sempre».
Straordinario. Ma sotto questo cuore c’è anche la panchina del prossimo anno? Possiamo rassicurare tutti?
«Io credo, spero, che troveremo un accordo. Ho una grande stima di questa società. Il presidente dice che mi percepisce come uno di famiglia. Qui mi sento a casa».
Perché?
«Perché quando si vince sono tutti bravi. Ma nel mondo delle vite normali bisogna sapere che con un milione e novecento mila euro di budget in serie C non vince nessuno».
Che cosa ha prodotto questo risultato?
«Gente esperta, che sa cos’è il calcio».
Facciamo un esempio meno noto.
«La mensa».
Cioè?
«Questi ragazzi hanno mangiato per un anno al centro sportivo, e bene, perché la società ha investito nel loro benessere».
Capisco.
«Vedi, dietro una vittoria ci sono mille padri: ma dietro questa promozione ci sono tante cose che molti non vedono. La squadra, lo staff medico. Il vice del mister. E anche il cuoco».
Tutti i giornali hanno cantato le tue lodi. Hai letto gli articoli?
«Sì, ma un minuto dopo mi impongo di dimenticarmele. E per fortuna ci riesco».
Perché?
«Perché Narciso quando si specchia nell’acqua per ammirare la propria figura affoga».
Sei già andato a caccia con i tuoi nove cani?
«No. Quelli da caccia sono solo sei. Ma non sono ancora andato».
Perché?
«Per me è come la meditazione per un monaco zen. Devo concentrarmi, sentire l’energia. Solo dopo vado a prendere il fucile, la muta, e vado a sparare».
Chi ha disegnato la villa, chiedo: Renzo Piano?
Il mister ride. «Macché, è stato il Francesconi, il mio amico di una vita, Michele, geometra. L’abbiamo costruita a puntate. Il secondo piano c’è perché ci sono stati i miei ingaggi del calcio».
In una stanza ci sono degli armadi di rovere, costruiti su misura. Dentro due pistole e dodici fucili da caccia.
«Servono per le beccacce, sempre. E per i malintenzionati, se qualcuno si facesse venire strane idee».
Ricostruiamo le tappe decisive di questa pazza e bellissima stagione?
«Pensa, stava per saltare tutto. Mi chiama il direttore sportivo del Pescara: “Vengo a Viareggio?”. E io gli dico: “Per il Pescara vengo io”. Alle 9 ero lì. Ma alle 11.30 mi chiama il Crotone, che mi vuole. Il Pescara non mi dava una risposta netta. Stavo per andare in Calabria».
I giorni decisivi.
«Era il 10 luglio, il ritiro partiva il 15. Una mattina dico a mio figlio: “Sento che il Pescara mi chiama”. Alle 14.30 squilla il telefono, è Sebastiani».
E tu?
«Dico a Mattia: “Lo vedi? C’è la magia, vinciamo”. Se mi dici quando è cominciata la sfida, tutto è partito allora».
Sei scaramantico?
«No, il contrario, semmai. Credo alla magia, che per me significa sentire quando il destino ti sceglie».
Ad esempio?
«A Palermo io dialogavo con i gatti neri. Me ne passano davanti due, prima di una partita decisiva e io penso: “Ho già vinto”. Infatti abbiamo vinto».
Allora a Pescara è stato tutto facile?
«Ma che dici? Dopo una settimana me ne volevo già andare. Pensavo: non abbiamo la rosa, non è possibile raggiungere un risultato».
E che cosa ti ha convinto?
«Il primo dubbio me lo ha messo Diego Labricciosa. Dicono di lui che è “il genero di Sebastiani’’. In realtà è uno dei pochi che conosce bene il calcio».
E come ha fatto a convincerti?
«Con i numeri prima. Poi con una minaccia».
Cioè?
(Ride). «Mi fa: “Se te ne vai, io arrivo a Massa Carrara, ti do una botta in testa e ti riporto a Pescara chiuso nel portabagagli”».
Ecco i retroscena segreti. Una minaccia di sequestro.
«Tu sai di mia figlia Valentina: gli manca un cromosoma, ma a me piace così. È una fata».
Perché mi parli di lei?
«Perché Mattia mi dice: tu la vedi bellissima perché la ami. Guarda anche questi ragazzi, così. La mattina dopo ho allenato, e ho ricominciato a sentire la magia».
Stavi lasciando il calcio. Hai fatto sei anni il pastore.
«Mi ha chiamato Mario, il mio amico di quei tempi: stavo venti giorni da lui e quattro a casa. Mi ero perso, mi sono ritrovato così».
È il mercato?
«Non ho chiesto nessun giocatore. Tranne Lancini che mi chiamava: “Mister, preferisco fare la riserva a Pescara che il titolare a Novara».
È arrivato.
«A gennaio Foggia lo ha preso. Ed è stato decisivo nei play off».
A inizio campionato hai conquistato tutti dicendo: ho 66 anni, me ne restano solo quattro per vincere. Avevi pensato questa mossa?
«Dio bono, no! Cosa vuoi che faccia calcoli? Adesso me ne restano tre».
E poi hai addotto una ragione.
«Lo speravo. È quello che era successo a Galeone: pensa che a me lo aveva raccontato Gasperini, a Coverciano».
Il calcio che si fa leggenda: come quando hai detto a Conte, che era a Siena, di andare alla Juve.
«Non lo avrei mai rivelato, sennò sembravo pazzo o megalomane. Come vedi lo ha detto lui».
Le leggende hanno sempre un fondamento di verità.
«Nei vuoi un’altra? Gasperini mi raccontò che non avevano difensori e misero dietro Ciarlantini. Centrocampisti che facevano i difensori. E così iniziarono a giocare a zona».
E poi Merola.
«Zeman diceva: “Non va mai sostituito. Lui può segnare sempre”. E così io gli gridavo: “Non puoi uscire!”. Ah ah ah».
Sei post-zemaniamo, pre-contiano o baldiniano?
«Se sento “Baldiniano” già mi sta sui coglioni».
A chi si ispira il tuo calcio?
«Vedi, un pittore non può copiare. Non è che se ti metti a copiare la Gioconda, al Louvre, diventi Leonardo. Non è che se vai all’allenamento di Zeman impari e diventi Zeman».
Come si diventa Baldini?
«Con il talento, la magia, gli errori pagati sulla pelle, e la testa dura. Ma solo la tua, però».
Il momento più drammatico della finale con la Ternana?
«Quando siamo rimasti in dieci non c’era più partita. Potevamo solo arrivare ai rigori. Non avevamo più la forza. Solo il coraggio. Ma in una finale il coraggio è tutto».
E quando hai visto il tiro di De Boer in rete?
«Un dramma. Ma per capire che il destino è dalla tua parte devi vivere un dramma fino in fondo. La mia lezione, per chi è interessato: non ci sono mai scorciatoie».
Come ti ricarichi?
«In montagna».
Come quando ci portasti il giovane Adani a vedere i cavalli che dormono in piedi?
«Esatto. Non mi serve fumare l’hashish o sniffare coca. Non ho peccati, e la paura sparisce sempre».
Avrai qualcosa che ti spaventa. Un tallone d’Achille.
«Oh siiii! Trovarsi davanti degli scemi che ti pestano i piedi».
Sei sempre una testa calda? «Mia moglie dice che rispetto a quando ero ragazzo sono un moderato».
Dai!
«Giuro: sono diventato amico sia del questore che del procuratore capo di Pescara».
Le élites dello Stato.
«Persone bellissime. Gli ho portato in dono una foto di Maradona. Se sento qualcuno che li chiama sbirri gli mollo un ceffone».
Perché?
«Detesto le semplificazioni».
Hai messo la testa a posto.
«No. So che potrei essere travolto dalla follia, so che potrei diventare una persona pericolosa per difendere la mia famiglia».
A novembre e a dicembre eri primo in classifica. Quanto te la sei goduta?
«Per nulla: già sapevo che sarebbero venuti i tempi cupi».
Il periodo nero, dopo gennaio. Come avete fatto a reggere?
«Sia Sebastiani che Foggia mi hanno visto come ero».
Ovvero: hanno capito che combattevi ancora per la promozione?
«Io so che il cattivo carattere è stato un fattore limitante nella mia carriera. Ma questa promozione è figlia di questo cattivo carattere».
Che cosa ti ha detto tua madre?
«Martedì scorso, appena tornato, vado a trovarla. Parliamo delle nostre cose belle, non di calcio».
E poi?
«Venerdì ci torno e gli dico: “Oh mamma! Ma lo sai che ho vinto il campionato?”».
E lei?
«Mi ha strapazzato: “Silvio, a me non me ne frega nulla. Mi importa che stia bene”».
Ah ah ah.
«Mia madre non è fascista, di più: pensa che non le piace più la Meloni perché la trova troppo moderata! ».
E tu, ora cosa sei?
«Uno che si diverte come un matto quando entra nell’osteria anarchica del Giustón gridando agli amici di sempre: “Ma siete anarchici, santoddìo! Da quant’è che non mettete più una bomba?”».
Ah ah ah. E loro?
«Ridono: “O’ Silvio! U’n ci vedi? Ci s’ha tutti ottant’anni per gamba!”».
Fantastico. Ma non hai detto cosa sei tu.
«Io? Sono anarchico, come i migliori di queste terre. Un anarchico conservatore, però. Se mi togli la famiglia io muoio».
Davvero hai detto nello spogliatoio, prima dell’andata della finale: “Voi non siete da B. Siete da A?”
«Certo, il gruppo del Pescara è un nucleo straordinario».
Rivelami un segreto.
«Nelle finali ho giocato con la linea alta perché c’era il Var. Quando le partite sono decisive gioco alto, perché se c’è un fuorigioco si vede».
Un giorno hai detto. Sono certo che vinceremo con quattro gol.
«Loro sapevano il motivo personalissimo per cui sarebbe accaduto, ed è accaduto».
Ti hanno definito pifferaio.
«Se me lo dice in faccia rispondo: “Ficcatelo nel c… il piffero!”. La verità è che in un mondo pieno di ipocriti che rubano, uno come me sta sui coglioni. Pazienza».
Hai un mantra?
«Devi giocare pensando a te stesso non per il risultato, ma per arrivare al risultato».
Ma davvero puoi andare in A con il Pescara? Ci sono squadre forti e più ricche.
«Balle. Quando sono andato in serie A con l’Empoli c’erano il Genoa, il Napoli, il Verona. Siamo saliti noi».
Hai bisogno della tua famiglia.
«Oggi tu sei testimone che mi tocca fare il baby sitter: non ci sono donne di servizio, qui. Non c’è servitù».
Perché mi dici questo?
«Sebastiani sa che il sacrificio per me deve valere per la mia famiglia. Non faccio giochi, non devo fare il furbo».
Raccontami ancora cosa ti ha detto il tuo amico contadino Mario?
«La parte che posso riferire? “Miiinchia!!! Anche stavolta gli hai rotto lu cul’!”’ La passione ti guida».
Lui ti ha visto quando stavi per mollare.
«Non pensavo che sarei mai tornato al calcio. Lui mi diceva: “Faccio una vita di sofferenza, casa popolare, macchina usata, pochi soldi”».
E tu?
«Gli ho detto la verità: “Sappi che tu sei un uomo felice”. Ma vivere con lui mi ha aiutato a ritornare a terra».
Che cosa divide un giocatore di B da uno di C?
«Nulla. La testa. La differenza di categoria la fa la testa».
Sei sicuro?
«Tutti quelli che giocano in C possono giocare anche in B. Se li guardi con amore».
Ma quando ti sei convinto di questa teoria?
«A Carrara: stavamo nella merda. Mio figlio Mattia mi disse: “Noi siamo come gli sherpa. Possono andare in vetta anche senza l’attrezzatura perché conoscono la montagna”. È vero. Noi conosciamo i segreti della montagna del calcio».
L’altro figlio, Niccolò, ti scrisse una lettera.
«Diceva: “In trent’anni ci hai insegnato che dal dolore si impara”».
I figli che tutti vorrebbero avere.
«E aggiungeva: “Sappi che per noi tutti vinci tutti i giorni”. Io sono questo perché ho questa famiglia, capisci?”».
Sempre insieme.
«Mattia non è andato a fare il corso, a Coverciano, perché mancavamo da mesi, e si è messo a fare il padre».
Un altro momento duro.
C’è la magia, ma c’è anche la sfiga. Senti questa. Avevamo perso con la Torres. Uscivo dal concessionario con il mio pick up Ford nuovo».
E che succede?
«Un mio amico mi chiama, rispondo. Ho centrato un palo con la macchina: 8.500 euro di danni».
E tua moglie.
(Ride). «Alla Paola la cifra vera ancora non l’ho detta».
Se diventi ricco dove vuoi andare? Alle bermuda? A Cortina? In un parco americano?
«E che ci fo? Guardati intorno, questa è la mia unica vacanza».
Sono i boschi che ti mantengono giovane?
«Forse è il Dna. Mia mamma a novant’anni non ha una ruga. Ha due protesi alle ginocchia, potrebbe giocare».
Ti compreresti una Ferrari?
«Dopo quello che ho speso per riparare la Ford? Suvvia!».
Dimmi una cosa che hai imparato degli uomini a parte il calcio.
«Noi uomini siamo stati creati per due finalità».
Citale.
«Per mangiare e per riprodursi. Mangiare, come vedi, non c’è bisogno che me lo dicano».
Mi interessa anche cosa dici del riprodursi.
«Le donne belle… ehhh. Quelle matte mi affascinavano. Mi seducono».
E poi?
«Quando penso a Paola e a Valentina tutti i miei ormoni tornano a dormire».
Dimmi come ricorderai la sera dei festeggiamenti.
«Io e il mio amico Alessandro – il proprietario della trattoria Tatillo – inscatolati nella sua 500 grigia, che traversiamo la folla. Tutti credevano che fossi sul pullman, io ero lì. Ah ah ah».
Dimmi una cosa che fate quando riunite tutta la famiglia.
(Ride). «Una cosa nostra?».
Sì, dei Baldini.
«Mi piace quando mangiamo tutti insieme a tavola. E subito dopo riuscire a farli incazzare».
Come, come?
«Dico cose del tipo: “Oggi intorno a questa tavola ci sono dieci chili di cervello. Nove e mezzo sono miei, il resto tutti voi messi insieme”».
E loro?
«Le urla si sentono fino alla spiaggia. Ah ah ah».
Dimmi la cosa più bella che ti è accaduta da quando sei tornato qui a Massa.
«Non te lo devo dire. L’hai vista prima».
Ommamma, quale?
«Dio bono! Non hai visto mio nipotino Brando, ventitré mesi, che sotto i miei occhi ha strappato un limone?».
Mitico. E non riusciva a risalire sul passeggino.
«Ma non mollava il limone. E alla fine ce l’ha fatta».
@RIPRODUZIONE RISERVATA