Un volume di Leogrande con otto storie ambientate sui campi

Calcio, ogni maledetta domenica

Un gioco che è anche un’avventura di psicologia collettiva che coinvolge dirigenti tecnici, giocatori e tifosi

Il calcio al tempo di Balotelli è Sistema, Tecnica, Finanza, lasciando per strada (nei cortili, nei campetti di periferia, nelle curve) la sua anima più trasgressiva, il suo afflato di libertà, di evasione dal quotidiano.
«Ogni maledetta domenica-Otto storie di calcio», a cura di Alessandro Leogrande (Minimum Fax, 288 pagine, 15 euro), propone otto angoli visuali per sondare il mistero del Calcio all’alba del Terzo Millennio.

Intanto il titolo che riecheggia un film interpretato da Al Pacino e che sonda l’universo del football americano. «Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta», dice il coach interpretato da Al Pacino. Lo ricorda il curatore Leogrande nella prefazione del libro. Una fatica sprecata se applicata al calcio, le otto storie sono accattivanti ma non scalfiscono il mistero del pallone. Ci si avvicina Rafa Benitez, tecnico del Liverpool: «Non ci sono solo la preparazione del match, la gestione dello spogliatoio, le giocate individuali. Il calcio è anche, e forse soprattutto, un’avventura di psicologia collettiva che coinvolge dirigenti, tecnici, giocatori e tifosi».

Il calcio piegato ai palinsesti tv e alla ingordigia dei presidenti, il calcio spalmato in tutta la settimana, tiene viva comunque l’attesa dell’evento. Le partite non finiscono mai, il tam tam mediatico non smette di rimandare la sua cantilena. Pur ingabbiato in un business al momento ampiamente deficitario - il Manchester United, il club più blasonato negli ultimi anni ha un deficit che supera gli 800 milioni di euro - il calcio conserva quel tanto di eversivo, di messa in discussione delle regole attraverso giocate impossibili che ne fa ancora il passatempo più accattivante.

Gli americani hanno cercato di catalogare i giochi più coinvolgenti e hanno messo il calcio all’ultimo posto, preceduto da basket, baseball e dal football americano, adducendo a vantaggio di queste due ultime discipline la mancanza di tempi morti (sic!) rispetto al calcio e la frequenza di segnature.
Il gol - la discesa del divino sul campo di gioco - è invece la quintessenza del calcio. Magari poi il gol sfugge, distratto da una bella fanciulla, come accade all’ultrà protagonista del racconto nella curva dello stadio Zini di Cremona, che si distrae ancora, al secondo gol dei grigiorossi, per scoprire se quel capellone in lontananza è il vecchio idolo Alviero Chiorri.

Il calcio si vive anche per sottrazione. Il tradimento di Berlusca-Faust che per 20 anni «ti fa gongolare e poi ti toglie Kakà», cuore e anima della squadra più blasonata del mondo. Un viatico per niente edificante per il Milan di Leonardo, ma la realtà supera la fantasia e la squadra orfana del suo campione più amato ha lottato fino all’altro ieri per lo scudetto. Viste le premesse, nessuno ci sperava.
Il calcio dà, il calcio toglie. Una bottiglia lanciata dal finestrino di un treno dopo un derby Bari-Lecce spezza l’esistenza di un uomo che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato: emorragia cerebrale e un’esistenza che non è più la stessa. Tuto questo per la delusione del dopoderby.

La passione porta lontano e invece che ai colori più amati si va incontro alla morte, come Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio, in una stazione di servizio vicino Arezzo sull’autostrada del Sole per un colpo di pistola sparato da un poliziotto da oltre 70 metri.
Oppure la parabola dello zingaro del calcio, Bora Milutinovic, che porta il Messico al risultato migliore di sempre ai Mondiali di casa nel 1986. Scovare nuovi orizzonti, questo il credo del serbo che fa il paio con le traiettorie di Pierluigi Casiraghi, un omonimo del ct della nazionale under 21. E’ il cercatore di nuovi talenti per l’Inter, qualcuno trovato per caso, come Babiany, salvato dalla banlieu parigina. Era andato nella capitale francese per vedere un talento franco-tunisino, poi finito allo Slavia Praga, ma la partita era stata rinviata. L’appuntamento salta ma non l’occasione di vedere qualche giovane all’opera: una partita di dilettanti e le piroette di Babiany. Due gol e tanta corsa, affare fatto. Quando al ragazzo nell’intervallo gli dicono che c’è un osservatore dell’Inter spuntano le ali ai piedi. Segna quattro gol ma Casiraghi è ormai lontano, gli è bastato un tempo per quel ragazzo che regalerà due scudetti Primavera ai nerazzurri.

Qualche altro talento lo ha perso per strada. Come il nigeriano John Obi Mikel (ora tanto corteggiato da Mourinho), finito al Chelsea per l’opposizione di Oba Oba Martins: questione di tribù nemiche.
Il mistero più grande - nell’éra del dopo Baggio, del calcio interamente votato allo spettacolo, al punto da scivolare verso le atmosfere del wrestling - è Mario Balotelli.
Attaccamento viscerale alla famiglia italiana, buona educazione, buoni voti a scuola fino a quando il calcio non ha preso il sopravvento, un ottimo rapporto con i fratelli sia quelli naturali che quelli acquisiti. C’è poi il rovescio della medaglia: gli atteggiamenti strafottenti in campo, le piccole e grandi provocazioni, i fischi, i cori razzisti. E’ lui il calcio che verrà, un po’ dottor Jekill e un po’ mister Hyde?

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