Cna: meno burocrazia per le aziende

Il direttore Di Costanzo: al governo chiediamo solo ciò che ci spetta

PESCARA. «Ogni giorno feriale in Abruzzo 10 persone, la metà delle quali con meno di 30 anni, avvia un'attività artigianale. Purtroppo, la metà di queste persone chiude bottega, nel giro dei primi tre anni, perché non riesce a trovare, nell'ambiente in cui opera, una burocrazia amica, qualcuno cioè che dica: per me, fare impresa è un valore».

Graziano Di Costanzo è il direttore regionale della Cna (Confederazione nazionale dell'artigianato) che in Abruzzo associa 12mila imprese. La Cna è una delle sigle che hanno firmato il Patto per l'Abruzzo, il documento per la ripresa dello sviluppo che il presidente della Regione, Gianni Chiodi, conta di discutere con il governo in un incontro che non ha ancora una data precisa ma che dovrebbe svolgersi a Roma a metà luglio.

Di Costanzo, a due mesi dalla firma, la Cna crede ancora nell'efficacia del Patto per l'Abruzzo?
«Sì. Ci crediamo perché è l'unica strada percorribile per tentare di far uscire l'Abruzzo dalla situazione di difficoltà in cui si trova».

Tre punti del Patto che devono essere privilegiati?
«Il primo è lo stesso incontro con il governo al quale dobbiamo chiedere lo sblocco delle risorse disponibili per la nostra regione».

Quali risorse?
«Oggi non abbiamo risorse endogene a causa del dissessto della sanità. Le uniche a cui possiamo attingere per le imprese sono quelle comunitarie e quelle che stanno in un loro percorso. Intendo i Fas, i Fondi per le aree sotto-utilizzate, il Masterplan, cioè i soldi che stanno dentro il piano per la ricostruzione post-terremoto, e quelle previste nell'accordo per le infrastrutture firmato, l'anno scorso, da Chiodi e Berlusconi. L'incontro con il governo, quindi, è lo snodo per tutte le questioni aperte. Dal governo abbiamo bisogno di sapere due cose. Quante sono le risorse; non vogliamo più leggerlo sui giornali, ce lo deve dire il governo. E in quanto tempo queste risorse saranno disponibili per l'Abruzzo».

Il secondo punto privilegiato del Patto?
«E' la ricostruzione dell'Aquila. Se non parte la ricostruzione, a continuare a soffrire saranno l'edilizia e, a catena, tutti gli altri settori».

Il terzo punto?
«Chiarire i contorni del debito sanitario e i tempi di rientro dal regime attuali delle addizionali Irpef e Irap che, in Abruzzo, è la più alta d'Italia. Ci devono dire quando queste addizionali finiranno. Poi c'è il piano di razionalizazione della rete ospedaliera, che anche noi abbiamo approvato: dobbiamo sapere se quel piano tiene, se resiste ai ricorsi al Tar e ad altro».

Chiodi è l'interlocutare adatto per la trattativa con il governo?
«Riteniamo di sì. Finora, sul Patto, si è mosso in maniera corretta. E' l'interlocutore che può darci la mano maggiore nel rapporto con il governo. Naturalmente noi non crediamo nella logica dell'uomo solo al comando. Dobbiamo essere uniti sugli obiettivi, e lui deve essere la persona che interpreta la volontà del Tavolo abruzzese. A Roma - sia chiaro - ci andiamo per difendere le ragioni dell'Abruzzo. Non è importante il colore politico».

La contigenza economica e politica attuale - con un governo a maggioranza non solidissima e una maxi manovra in arrivo - non rende, di colpo, difficile l'obiettivo del Patto?
«Il rischio c'è. Arrivare a metà luglio, con una tensione così forte nel governo, rischia di farci trovare di fronte degli interlocutori con la testa rivolta da tutt'altra parte. La crisi c'è dappertutto, anche se segni di ripresa si avvertono, ma il terremoto ce l'abbiamo avuto solo noi. In un momento in cui la recessione mordeva nella maniera più forte, noi qui abbiamo sentito anche il morso del terremoto. Il governo, dopo aver assicurato l'emergenza, adesso non può far finta che quell'emergenza sia finita. Noi non diciamo che i Fas debbono toglierli agli altri per darli a noi. Ma sul Masterplan si devono dare risposte concrete. Ci sono impegni presi e risorse che sono state allocate. Adesso è tempo di metterle a disposizione di una comunità che ha già aspettato abbastanza. Noi non siamo quelli che vanno a piangere a Roma per il terremoto. Ci andiamo, invece, per chiedere ciò che accordi già sottoscritti ci hanno riservato».

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