Soldi nascosti nelle auto dalla Guardia di finanza

ROMA

Denaro "sporco" nei negozi cinesi e traffico di droga: 2 arresti in Abruzzo

Maxi operazione della Guardia di finanza della capitale: coinvolti in 33, ordini di custodia a Tagliacozzo per i genitori di uno dei principali indagati

ROMA. Tocca anche l'Abruzzo l'operazione nazionale antiriciclaggio e contro il traffico di droga messa a segno questa mattina dalla Guardia di finanza. Secondo le indagini, attività commerciali gestite a Roma da cittadini di origine cinese venivano utilizzate per "ripulire" denaro sporco proveniente da un traffico di droga internazionale. 

I finanzieri del Comando provinciale di Roma hanno eseguito questa mattina 33 ordinanze di custodia cautelare (22 in carcere e 11 ai domiciliari) nelle province di Roma, L’Aquila, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Ancona e Campobasso per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e al riciclaggio, oltre che per i reati di estorsione, autoriciclaggio e detenzione abusiva di armi.

In Abruzzo gli arresti sono stati eseguiti in particolare a Tagliacozzo e riguardano i genitori di uno dei principali indagati, Federico Latini, romano di 29 anni, ritenuto a capo di uno dei due gruppi criminali che secondo la Finanza gestivano il riciclaggio. Il padre Marcello Latini, 4 anni, è stato arrestato e trasferito nel carcere di Teramo, la madre è rimasta ai domiciliari a Tagliacozzo. L'altro gruppo era capeggiato da Antonio Gala e Fabrizio Capogna.

Il provvedimento costituisce l’epilogo delle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma ed eseguite dal Gruppo investigazione criminalità organizzata (Gico)

Sono stati in sostanza individuati soggetti di nazionalità cinese di stanza a Roma che, secondo l'accusa, hanno svolto sistematicamente attività di riciclaggio di profitti illeciti conseguiti da più gruppi criminali dediti al traffico, anche internazionale, di sostanze stupefacenti. Le attività di “ripulitura” del denaro avvenivano presso le sedi di attività commerciali dedite all’import-export di abbigliamento e accessori di moda, tutte gestite da due comunità familiari cinesi nel quartiere Esquilino della capitale. Esercizi esistenti solo formalmente, e che fungevano in realtà da “centri di raccolta” del denaro di provenienza illecita destinato a essere trasferito all’estero (prevalentemente in Cina) in maniera anonima e non tracciabile.

Questo sistema illegale di intermediazione finanziaria, basato su puntualità, discrezionalità e sicurezza, garantito dalle performance dei soggetti cinesi coinvolti, si fondava sul cosiddetto metodo “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”), consistente nel virtuale trasferimento del denaro all’estero. Nei fatti, il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, venendone invece trasferito il solo “valore nominale” alla controparte/broker presente nel Paese estero. La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici “diretti” di importo frazionato (al fine di aggirare i vincoli antiriciclaggio) ovvero a mezzo di trasferimenti di denaro sulla base di operazioni commerciali fittizie.

In sintesi, queste le fasi del modus operandi adottato: raccolta in contanti del denaro provento del narcotraffico presso una attività commerciale cinese di copertura; attribuzione di un codice convenzionale concordato tra le parti in occasione del versamento e conteggio del denaro; nella fase precedente all’emergenza sanitaria da COVID-19, il trasferimento all’estero di quanto versato in Italia - stornato della commissione riscossa per il servizio di riciclaggio - avveniva a mezzo dei cosiddetti spalloni; nella fase post-pandemica, la regolazione finanziaria si realizzava mediante pagamenti di fittizi documenti fiscali o triangolazioni tra operatori cinesi in più Stati/Regioni ovvero attraverso il ricorso alla compensazione finanziaria a opera di un broker “Fei Ch’ien”.

Le indagini hanno permesso di individuare uno strutturato sodalizio dedito al riciclaggio composto da numerosi individui, legati tra loro anche da vincoli di parentela, tutti incaricati di curare le varie fasi di raccolta e trasferimento illegale di valuta verso l’estero.

All’esito delle attività delegate dall’Ufficio di Procura sono stati: sequestrati circa 10 milioni di euro (di cui 8 milioni di euro presso lo scalo aeroportuale “Leonardo da Vinci” di Fiumicino), nei confronti dei “money mule” incaricati di trasferire fisicamente il denaro fuori dal territorio unionale e accertati conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese di stanza a Roma per oltre 4 milioni di euro. Nel complesso, sono state tracciate movimentazioni finanziarie per oltre 50 milioni di euro, dirette dal territorio nazionale verso la Repubblica Popolare Cinese.

Per quanto, invece, concerne i conferitori del denaro contante da riciclare, le indagini si sono incentrate su due distinte associazioni criminali dedite al narcotraffico delle quali, in particolare, una si serviva di chat criptate per sfuggire ai tentativi di intercettazione e il cui contenuto è stato acquisito anche grazie alla collaborazione tra la D.D.A. di Roma ed Eurojust.

L’efficacia delle indagini ha consentito, in occasione dei numerosi interventi repressivi effettuati, di riscontrare direttamente le notevoli potenzialità delle organizzazioni investigate, le quali potevano contare su:  metodologie di comunicazione all’avanguardia finalizzate a evadere le intercettazioni;  autovetture dotate di sofisticati vani segreti per trasportare droga, armi e denaro; luoghi dedicati, vigilati e difficilmente penetrabili destinati al deposito e alla lavorazione dello stupefacente prima della sua immissione nella rete di vendita clandestina.

In particolare, nei confronti del primo aggregato criminale, sono stati sequestrati oltre 110 kg di narcotico (tra hashish, marijuana e cocaina) e sono stati ricostruiti traffici illeciti per oltre 545 kg di sostanza stupefacente, costituente un giro di affari tra Spagna e Italia di circa 20 milioni di euro. Relativamente alla seconda organizzazione criminale, le investigazioni consentivano di sequestrare partite di droga per oltre 157 kg (per un valore stimato di circa 4 milioni di euro) e armi, trasportate in sicurezza grazie a sofisticati vani segreti ricavati nelle autovetture messe a disposizione dei corrieri.