Di Costanzo: «Pil abruzzese in crescita ma Marsilio non ha meriti»

Graziano Di Costanzo con Luciano D'Amico
Il responsabile economia del Pd contesta il report regionale: «Sono gli effetti di Superbonus, Pnrr e Zes. Tutte misure dei precedenti governi»
L’AQUILA. «Dichiarazioni roboanti», quelle del presidente della Regione, Marco Marsilio, sui dati sull’economia dell’Abruzzo diffusi dallo studio Tagliacarne. A frenare gli entusiasmi è Graziano Di Costanzo, responsabile economia Pd Abruzzo, che cita un secondo studio, quello della Cgia di Mestre: gli anni di riferimento vanno dal 2019 al 2025 e vedono l’Abruzzo quarta regione in Italia per crescita del Pil. «Gli stessi del mandato regionale di centrodestra, ha evidenziato Marsilio». Ma il presidente, dice Di Costanzo, «omette alcuni passaggi importanti».
Cerchiamo di fare chiarezza: la Regione esulta, il Pd getta acqua sul fuoco. Ci spiega perché?
«Partiamo dallo studio della Cgia di Mestre sul Pil: la crescita del Prodotto interno lordo riguarda tutte le regioni del Mezzogiorno e va ricondotto, principalmente, agli effetti dell’utilizzo del Superbonus, agli interventi del Pnrr e alla Zes unica, che riguarda anche l’Abruzzo. Misure che hanno messo in campo i precedenti governi nazionali, non il governo Meloni, a cui si aggiunge il grande impulso dato dalla ricostruzione post-sisma dell’Aquila e del centro Italia».
Sta dicendo che non è merito dell’amministrazione Marsilio?
«L’Abruzzo ha beneficiato di questi fattori che hanno portato a un aumento del Pil non legato, di certo, alle politiche di sviluppo che ha fatto la Regione. Tanto che, sulla stima del Pil del 2025, la nostra regione – sempre secondo il report della Cgia – scende al 16esimo posto in Italia e crolla rispetto agli anni precedenti».
Come spiega una flessione così marcata?
«Il Superbonus ha esaurito i suoi effetti, il Pnrr finirà nel 2026. Con gli incentivi che vengono meno e non incidono più sull’andamento economico complessivo, ecco che l’Abruzzo finisce in 16ª posizione. Inoltre, il Pil è sì un indicatore importante, ma non è l’unico».
Analizziamo altro, allora...
«L’ultimo studio Eurispes, pubblicato il 20 ottobre scorso con un dossier di 286 pagine, analizza non solo gli indicatori economici, ma anche il divario sociale. L’Eurispes, sulla base di sette indicatori – lavoro, economia, sociale, servizi, pubblica amministrazione, salute, istruzione e conoscenza – analizza i rischi di esclusione».
Cosa viene fuori?
«Che l’Abruzzo è a rischio di esclusione alto e medio-alto. Si salva solo sulla salute. Se ne deduce, anche se prendessimo come riferimento solo il Pil, che non ha avuto quegli effetti positivi che avrebbe dovuto portare sulla popolazione. Se i dati positivi non si calano sugli altri indicatori che incidono sulla qualità della vita degli abruzzesi, sul benessere delle famiglie, sull’accesso ai servizi, c’è qualcosa che non torna».
Lei, però, ci sta mostrando anche altro...
«Ecco i dati. Se analizziamo il Pil pro capite, l’Abruzzo è prima regione del Mezzogiorno, con 32.708 euro per abitante, ma siamo ancora lontani dalla media italiana che è di 38.304 euro e da quella del centro Italia pari a 41.063 euro, quasi diecimila euro in più per abitante».
Eppure, in Abruzzo sono arrivati tanti soldi.
«Guardiamo i fondi comunitari: l’Abruzzo ha una dotazione di 1 miliardo e 85 milioni di euro per gli anni 2021-2027, quasi due volte e mezzo quella del 2014-2020, quando era di 457 milioni. Un arrivo di risorse importante, di cui la Regione ha usufruito poco. A oggi, ha speso solo il 5,6% per la programmazione di interventi. Siamo al quinto anno di programmazione e ha speso solo 60 milioni: soldi che la Regione ha a disposizione per sviluppo, occupazione, credito, transizione energetica e digitale, tanto per citare alcuni comparti. Sono finanziamenti importanti, che muovono l’economia».
E con il Fondo sviluppo e coesione come siamo messi?
«La dotazione è di 1 miliardo e 61 milioni, sempre per il 2021- 2027. Anche in questo caso la Regione Abruzzo ha speso lo 0,70%, ovvero nulla. Dati che sono rinvenibili sul monitoraggio Mef del 31 agosto 2025. Per dare l’idea di quello che non si fa, basta analizzare i numeri riferiti al comparto dell’artigianato, in cui la Regione Abruzzo ha competenze esclusive. Ebbene, i dati dal 30 giugno 2019 al 30 giugno 2025 dicono che le imprese artigiane sono diminuite del 9,5% contro una media nazionale del 4,1%. Un indice che colloca la regione al penultimo posto in Italia. Abbiamo perso 2.827 imprese artigiane in sei anni».
Ha qualche idea sui programmi da attuare?
«Intanto, rilanciare il tema delle infrastrutture materiali e immateriali: portare la banda larga in tutte le aree interne, poi realizzare la trasversale, su cui abbiamo lavorato molto con le organizzazioni datoriali per far approvare dall’Europa il corridoio Barcellona, Civitavecchia, Pescara, Ortona, Bosnia Erzegovina. Risparmieremmo energia e tempo, ma la Regione non ne parla più».
E poi?
«Il credito. Bankitalia dice che il credito concesso alle imprese abruzzesi è aumento dello 0,4%, ma analizzando ulteriormente il dato si evince che i soldi vanno alle aziende medio-grandi, mentre il credito alle piccole imprese è diminuito del 5,2%. C’è un’emergenza che riguarda l’accesso al credito per il mondo della micro e piccola impresa, che rappresenta il 97% del totale delle imprese abruzzesi e dà lavoro al 52% degli occupati. Bisogna rilanciare il ruolo dei Confidi come strumento decisivo per favorire l’accesso al credito».
Le imprese abruzzesi soffrono anche una tassazione importante.
«A mio avviso, si lega alla diminuzione del Pil nel 2025. In Abruzzo abbiamo una finanza di svantaggio, con una tassazione regionale che ha messo sull’Irpef un aumento dell’addizionale di 42 milioni totali per bloccare l’emergenza sanità. Questo si riflette sulla stagnazione del mercato interno, sulla capacità di spesa delle famiglie e su tutto il sistema economico».
È l’unico elemento che pesa negativamente?
«Va registrato anche un incremento esponenziale della cassa integrazione, che continua a crescere, ed è aumentata del 167% dal 1° semestre 2024 al 1° semestre 2025 contro il 21% dell’Italia. Una situazione oggettivamente complicata: la Regione si deve sbrigare a mettere in campo iniziative proprie per rilanciare l’economia locale, lo sviluppo e l’occupazione. Una società progredisce solo, se aumentano questi indicatori, se c’è lavoro e le famiglie possono spendere».
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