Ecco la “lista rossa” di 14 politici: «I neofascisti volevano ucciderli». Ci sono anche Pagano e Pezzopane

10 Luglio 2025

L’elenco sequestrato a casa di un imputato. Nel mirino i due parlamentari abruzzesi. Scoperte le lettere che inneggiavano al Ventennio: «Così riconsegneremo la Nazione al popolo»

CHIETI. Un elenco di 14 politici «ad alto indice di fattibilità, individuati come possibili “bersagli” di attentati terroristici». I neofascisti d’Abruzzo, che secondo la sentenza della Corte d’assise di Chieti rappresentavano una minaccia concreta per lo Stato, erano pronti a passare all’azione. A stilare la “lista rossa”, come l’hanno soprannominata i dieci terroristi della porta accanto condannati a più di 75 anni di carcere complessivi, è stato il lancianese Luigi Di Menno Di Bucchianico, oggi 57 anni.

Lui, una grande passione per le armi da fuoco e per i coltelli, aveva messo a disposizione di Avanguardia ordinovista esperienza in campo militare e nelle tattiche di guerriglia, avendo prestato servizio nell’Esercito italiano. E proprio a casa di Di Menno Di Bucchianico i carabinieri del Ros, nel giorno del blitz di fine 2014, hanno scoperto la “lista rossa”, all’interno di un’agenda. Dalle motivazioni della sentenza, depositate due giorni fa, spuntano i nomi di due «soggetti istituzionali» che gli imputati avrebbero voluto uccidere «tramite armi da fuoco»: l’aquilana Stefania Pezzopane, all’epoca dei fatti senatrice del Partito democratico, e l’attuale deputato di Forza Italia Nazario Pagano, ai tempi presidente del consiglio regionale.

La Corte d’assise teatina (presidente Guido Campli, giudice estensore Maurizio Sacco) torna più volte sulla “lista rossa”, riportando anche la testimonianza degli agenti sotto copertura che si erano infiltrati nel gruppo terroristico, riuscendo a sventare «numerose azioni delittuose». Uno di loro racconta: «Di Menno Di Bucchianico era uno dei più operativi, aveva fatto per tre anni il militare con il grado di caporal maggiore o di sergente. Faceva regolare attività di addestramento per una squadra di softball. Aveva dato la disponibilità all’azione per aver stilato la “lista rossa”, che erano i politici privi di scorta e quindi fattibili, ovvero che non era difficile avvicinare».

Il capo del gruppo Stefano Manni (già condannato in via definitiva con il rito abbreviato) ha incaricato Di Menno Di Bucchianico di redigere l’elenco. I politici erano il pallino dell’ex militare lancianese: riteneva più «giusto» colpire solo loro e gli immigrati, in quanto «responsabili del dissesto della società», e non i rappresentanti delle forze dell’ordine, da lui considerati «meri esecutori di ordini provenienti dall’esecutivo». Di Menno Di Bucchianico, scrivono ancora i giudici, si era offerto «di fornire addestramento per l’utilizzo di armi ai soggetti individuati per il compimento degli attentati». Le difese hanno rimarcato più volte «il carattere meramente idealistico e non concreto dei propositi criminali fatti dagli imputati». Una tesi assolutamente non condivisa dai giudici che, al contrario, ritengono Avanguardia ordinovista «dotata di una capacità lesiva concreta».

Per comprendere l’ideologia del gruppo, sono significative proprio le lettere di Di Menno Di Bucchianico, al quale i giudici hanno inflitto sette anni e mezzo di carcere. L’ex soldato, per esempio, scrive a un «soggetto rimasto non identificato» per illustrargli «alcune iniziative per un programma di “comunità di sopravvivenza”. Stiamo creando degli Ss, sito sopravvivenza. Sono luoghi estremamente riservati, solo chi fa parte del gruppo ne è a conoscenza». Sempre nella stessa missiva, Di Menno Di Bucchianico afferma che, all’interno di questi siti, «vengono depositati degli zaini di sopravvivenza ZS», specificando che a ogni numero corrisponde una tipologia di risorsa: «ZSJ viveri, ZS2 medicinali, ZS3 armi e munizioni, ZS4 attrezzatura e logistica». E proprio con la finalità di accumulare il materiale per costruire gli zaini in questione, sostiene sempre l’accusa, l’ex soldato possedeva «illegalmente» munizionamento nella sua abitazione.

L’imputato stila persino cinque documenti, denominati «comunicati di guerra», tutti esortanti alla ribellione del cittadino contro i «politici parassiti» e inneggianti alla morte di costoro. Gli investigatori hanno intercettato anche altre sue lettere contenenti «chiari riferimenti nostalgici al passato periodo fascista». «Abbandoniamo ogni tipo di comunicazione solito e utilizziamo la posta cartacea», scrive Di Menno Di Bucchianico. «Noi andiamo, puliamo e riconsegniamo la Nazione al popolo, gli altri ripartiranno con un nuovo decalogo del fare politica in Italia. Ora o mai più». Quindi si firma così: «Settembre nero ti saluta, Fratello d’Italia». E aggiunge, in fondo alla missiva, questa postilla: «Nb. memorizza il mio indirizzo e distruggi sempre ogni lettera».

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