I quiz del re della tv unirono l’Italia in bianco e nero

È stato il padre della tv di massa in Italia, il primo a riempire i bar di città e paesi con “Lascia e raddoppia?” quando gli abbonamenti alla Rai-Tv erano meno di 300 mila, per lo più al Nord.
 Veniva dalla radio (ricordo, bambino, certi suoi servizi per “La voce dell’America”), ma ebbe subito successo nella tv sperimentale trasmessa nel ’54 dalla Triennale di Milano. Perché? Perché aveva portato dagli Usa - lui italo-americano, figlio di un oriundo siciliano e di una torinese - un ottimismo di fondo, un approccio assolutamente semplice con fatti e persone: uomo medio in tutto, nel modo di porsi, nel linguaggio (il suo era un italiano scarno, semplificato, senza congiuntivi né subordinate), nell’ammirazione per la cultura “superiore” degli esperti dei suoi quiz.

 E quindi, da uomo medio alla portata di milioni di telespettatori medi stipati nei caffè e poi nelle case, aveva creato personaggi veri, oggi impensabili. Come il maestro elementare di Carpi, Lando Degoli, che sa tutto di Verdi e cade sul controfagotto del “Don Carlo”, il professore torinese Gianluigi Marianini perfetto conoscitore della moda e del costume, o, più avanti, il medico Massimo Inardi che a “Rischiatutto” si cimenta con la musica classica, vince 48 milioni del ’71 e, da cultore del paranormale, viene sospettato di “leggere” in anticipo le impervie domande del Signor Mike.

 Il quale, non essendo colto, rimane sempre ammirato di questi saperi superiori alla media e li esalta, per quantità più che per qualità, certo, presso il suo pubblico divenuto oceanico. Qualcuno dice che, se il maestro Alberto Manzi - quello di “Non è mai troppo tardi” - ha insegnato a tanti connazionali a parlare in italiano, Michael Bongiorno detto Mike ha creato una sorta di sua unità d’Italia.

 In effetti, il fatto di essere venuto dall’America democratica, di aver partecipato, coi suoi bravi rischi alla Resistenza (finì a San Vittore dove aiutò, a detta di Indro Montanelli anch’egli incarcerato, molti compagni, e nel terribile campo di transito di Bolzano), di essere comunque un italiano non “regionale” ha concorso a costruire un personaggio nazionalpopolare, più di tutti gli altri.

 Come comprova la conduzione di ben undici edizioni del Festival di Sanremo. Quando salutava col suo “Allegria! Allegria!”, dava l’idea di credere in quel messaggio ottimistico, incoraggiante.

 Umberto Eco, nel lontano saggio sulla “Fenomenologia di Mike Bongiorno” (quale altro personaggio ha avuto questo onore? E quale uomo tv ha avuto tanti imitatori?), ne parla come di una persona priva di umorismo. Fra tante notazioni acute, questa è stata però pienamente smentita dall’ultimo Mike. Il primo, è vero, è incorso in “gaffe” imbarazzanti, alcune leggendarie, preferendo registrare, dopo “Lascia o raddoppia?”, tutte le trasmissioni.

 Il secondo Mike, quello più recente, in coppia col duttilissimo Fiorello, “bucava” il video, sornione e divertito.
 Mike Bongiorno ha fatto tanta tv, pubblica e poi privata, guadagnando una barca di soldi. Però nell’immaginario collettivo credo che rimarrà essenzialmente l’uomo di quella Rai che anche nei quiz cercava di educare divertendo, che distribuiva denari per risposte basate su saperi, nozionistici, monomaniacali, e però reali. Lasciando Mediaset (dove si era sentito trattato, dopo tanti anni, con fredda ingratitudine) per Sky, aveva dato prova di essere, a 85 anni, un professionista vero, un uomo dignitoso.

 Buona notte, Mike. Te la sei guadagnata.