I serpenti risparmiano gli occhi di S.Domenico. Buon auspicio, i fedeli in festa

Oltre 12 mila presenti alla tradizionale festa di Cocullo

COCULLO. San Domenico abate è rimasto con gli occhi liberi. Neanche una delle decine di serpi che ne avvolgevano il busto si è messa di traverso oscurandogli la vista. Il rito millenario che il primo giovedì di maggio richiama migliaia tra fedeli e turisti a Cocullo anche ieri, con circa 12mila presenti, si è consumato seguendo una liturgia capace di regalare attimi di grande suggestione. E il responso divinatorio è stato quello atteso della pace e della prosperità accolto con un applauso. Erano le 12,37 quando la statua è uscita dalla chiesa Madonne delle Grazie per la vestizione a cura dei serpari, orgogliosi custodi di un ruolo tramandato di generazione in generazione. Quando il busto con il groviglio di bisce è stato esposto alla folla si è materializzata una selva di macchine fotografiche. C’era da capire quali traiettorie striscianti avrebbero vergato il volto del santo. Gli occhi lasciati intonsi dal passaggio delle serpi è stato il segnale che ha liberato la folla dall’ansia del pronostico di sventura.

Accantonati i presagi funesti, la processione si è messa in movimento per le vie del piccolo borgo accompagnata dai carabinieri con i pennacchi, i gonfaloni dei Comuni, i sindaci, il vescovo di Sulmona Valva che ha celebrato la messa, Angelo Spina, la banda musicale.
E’ una festa patronale che si trasforma in appuntamento di folklore grazie anche al rito dei serpari. Le bisce segnate sulla testa o numerate per essere riprese e portate nelle campagne dove nelle scorse settimane sono state catturate. Fin dalle 10 si sono formati capannelli di turisti nella piazza per una foto ricordo con i serpenti. C’è chi si è messo in posa con la biscia al collo e chi si è limitato a tenerla in mano o ad accarezzarla come portafortuna. In piazza è comparso anche l’ex direttore di Mattino e Messaggero, Paolo Gambescia, originario di Lanciano. «L’ultima volta ho visto il rito a circa 8 anni», confessa, «il contorno delle foto turistiche è inevitabile. Quello che, però, mi colpisce è quanto le persone abbiano bisogno della liturgia che le avvicini al divino. Mi piacerebbe che i giovani studiassero le origini di questa festa per esserne più consapevoli».

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