Idrocarburi, dieci richieste per le estrazioni: i piani delle trivelle in Abruzzo

4 Novembre 2025

Petrolio e gas, riparte la corsa dei colossi dell’energia: la mappa degli impianti, a terra e in mare

PESCARA. Sono almeno sette le istanze di permesso di ricerca degli idrocarburi e gas presentate da colossi dell’energia come Eni, LnEnergy, Intergie e Lumax Oil per perforare la terraferma in Abruzzo, soprattutto nella provincia di Chieti; altre tre richieste, avanzate dalla Aleanna Italia, riguardano le estrazioni in mare, davanti alla costa teramana. Riparte la corsa ai giacimenti di petrolio e gas custoditi nel ventre dell’Abruzzo, lo stesso Abruzzo che era sceso in strada per protestare contro Ombrina.

TRIVELLE D’ABRUZZO

Con il blocco delle trivelle, scattato prima con la moratoria del 2019 e poi con l’approvazione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai) avvenuta nel 2022 nel pieno della crisi energetica, l’Italia ha fermato lo sviluppo della produzione di petrolio e gas. Ma una sentenza del Tar del Lazio ha annullato il Pitesai e, adesso, le aziende hanno fatto richiesta al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica di riattivare i titoli minerari.

LA MAPPA DELLE PERFORAZIONI

L’affare delle nuove esplorazioni riguarda anche l’Abruzzo, insieme a Basilicata, Puglia, Campania, Lombardia ed Emilia Romagna. In Abruzzo, sono pendenti le richieste per i siti di Ortona, Monte Pallano e Bucchianico nel Chietino, Mutignano nel Teramano e poi, al confine con il Lazio, le zone sono quelle chiamate Lago del Salto, Fiume Aniene e Sora. Altre tre istanze riguardano piattaforme in mare (off-shore) davanti alla costa teramana, verso il confine con le Marche.

IL ROSPO SVILUPPO

Tra le aziende che puntano a crescere c’è anche la greca Energean, quotata a Londra e socia di Eni nel gas Argo e Cassiopea al largo di Gela oltre che operatrice dei pozzi petroliferi dei campi Rospo e Vega nell’Adriatico e nel mare di Sicilia: nelle acque d’Abruzzo, Energean detiene cinque concessioni di coltivazione in tandem con Eni e Gas Plus Italiana. Al Corriere della Sera, il ceo Mathios Rigas ha parlato dei piani di espansione dell’azienda che, con le piattaforme Rospo, interessano anche la zona bassa dell’Abruzzo, da Vasto fino a Termoli: «Con nuove autorizzazioni potremmo aprire tre nuovi pozzi petroliferi per Vega di fronte a Pozzallo, mentre per Rospo stiamo ultimando le analisi per avviare uno o due nuovi pozzi, già individuati ma da scavare. Potrebbero triplicare la produzione con le infrastrutture già esistenti. Abbiamo chiesto licenze esplorative per il gas nel Mar Ionio, al confine con le acque greche dove deteniamo già un permesso molto promettente. Sappiamo che ci sono resistenze a livello di politica locale, ma nel frattempo Croazia e Grecia, dove siamo presenti, sono molto attive avendoci di recente consentito di avviare nuove perforazioni».

PRIMO NO

Con le mosse delle società petrolifere, si riapre il dibattito: «La transizione energetica non è un vezzo ma una necessità», osserva Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all’università di Teramo, autore dei libri “Abruzzo color petrolio. Breve viaggio nel caos giuridico degli idrocarburi” e “Petrolio, ambiente, salute”. Di Salvatore è stato anche uno dei promotori del referendum abrogativo “No Triv” del 2016. «La transizione non può deciderla il mercato ma è politica che deve governare il mercato», spiega il docente, «se le multinazionali seguono soltanto ragioni di mercato, la politica deve dettare gli indirizzi. Ma, in Italia, dal 2004 manca una legge organica e la materia delle fonti fossili viene regolata con i decreti legge. Insomma», riflette Di Salvatore, «non abbiamo una politica energetica e si fa tutto come se ci fosse sempre un’emergenza. Manca una visione politica. Il resto», continua, «lo fa l’Europa con l’obbligo di ridurre i livelli di riduzione delle emissioni in atmosfera per arrivare alla neutralità climatica entro il 2055. Ma, nel frattempo, se potenziamo le trivelle, come e quando ci si arriverà a questo risultato?». Secondo il docente, l’estrazione degli idrocarburi, sulla terraferma e nel mare d’Abruzzo, è quasi inutile: «Non pone rimedio al fabbisogno energetico nazionale, i posti di lavoro sono limitati e bisogna vedere qual è il rapporto tra costi e benefici rispetto all’ambiente in cui tali impianti dovrebbero insistere. Mi sembra un modo vecchio di fare economia».

«UNA FESSERIA»

Di Salvatore parla della quantità di idrocarburi che si potrebbe estrarre: «Non è la prima volta che l’Adriatico viene perlustrato in lungo e largo alla ricerca di petrolio e gas ma cercare non significa per forza trovare. Oltre agli impianti della Basilicata e nel mare di Sicilia, diciamo che tutto il resto, Abruzzo compreso, è una fesseria a livello di dati. Ci illudiamo che questa sia la soluzione a tutti i nostri problemi, ma la verità è che così si fanno soltanto passi indietro».