Il D'Annunzio superstizioso

Mazza e Bortolotti: il mondo esoterico del Vate nel volume sugli amuleti
«La superstizione di Gabriele D'Annunzio è ben nota. E così pure l'uso che fece di amuleti e talismani, sin dagli anni giovanili, da lui stesso ricordato negli scritti letterari, negli appunti e nell'epistolario infinito». Bastano le prime quattro righe della premessa per rendere interessante il volume «Gli amuleti di D'Annunzio», di Attilio Mazza e Antonio Bortolotti, Ianieri editore, 215 pagine, 18 euro.
Il libro si articola in due parti (dopo la prefazione di Franco Di Tizio e la premessa degli autori): «Esoterismo dannunziano» firmato da Attilio Mazza e «Oggetti scaramantici al Vittoriale» firmato da Antonio Bortolotti e Attilio Mazza.
«La Prioria (il corpo centrale del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, la residenza dal 1921 fino alla morte nel 1938 del poeta nato a Pescara nel 1863, ndr) è talmente ricca di oggetti simbolo, anche a carattere propiziatorio, sia di natura religiosa, sia profana, da poterla definire, a ragione, "Casa dei simboli". (...) D'Annunzio interpretò spesso in modo del tutto personale gli emblemi della mitologia, delle religioni e della Massoneria, di cui ben conosceva il rituale».
«La fiducia del poeta negli amuleti e nei talismani, di cui fece ampiamente uso si può far risalire sempre all'originaria superstizione abruzzese».
Nelle missioni aeree di guerra D'Annunzio portava con sé alcuni oggetti, come scrisse lui stesso: «I talismani erano nella tasca dalla parte del cuore: il vecchio anello di mia madre, che porta per gemma un piccolo teschio consunto tra due tibie». Maria Camerlengo, la fedele domestica di casa D'Annunzio a Pescara affermò che la madre del poeta, Luisa, «aveva ereditato l'anello dal padre, il qualo lo aveva portato sempre al dito mignolo».
Ma D'Annunzio era particolarmente scaramantico anche per quanto riguarda i numeri. Nelle stanze del Vittoriale sono occultati numeri. Nella stanza del Lebbroso i lati sono 7. «Il suo preferito era l'11», scrive Mazza, «seguivano nell'ordine il 9 e il 7, prediletto, il 21 e il 27, multipli di 7 e 9. Privilegiò il 3 anche in alcuni lavori: La figlia di Iorio è divisa in tre atti e 33 sono i giorni, scanditi in tre periodi, in cui idealmente si svolge l'azione». Era invece ossessionato e terrorizzato dal numero 13 e «datò il 1913 come 1912 più 1».
Il volume di Mazza e Bortolotti affronta diversi aspetti della vita di D'Annunzio e soprattutto del Vittoriale. «D'Annunzio», si legge, «abbandonata la città di Fiume dopo il funesto Natale di sangue si trovò, nel gennaio 1921, senza dimora», e trovò quasi subito, grazie al suo segretario Tom Antongini, la villa di Cargnacco, a Gardone Riviera. Tra le stanze, puntualmente analizzate, ecco alcune descrizioni: Stanza del Lebbroso: «E' uno degli ambienti esoterici più significativi. Nel Medioevo il lebbroso era persona sacra e D'Annunzio si considerò tale perché toccato da Dio nell'ingegno. (...) Nulla è qui privo di significato: le pareti sono di pelle scamosciata per ricordare il saio francescano; il letto ha la forma delle due età, di culla e di bara (sul quale volle che la sua salma fosse collocata); e motti ovunque. La scultura lignea cinquecentesca vicino al letto raffigura San Sebastiano, martire al quale dedicò il dramma del 1911, musicato da Debussy».
Un capitolo del volume è dedicato a «Iettatura e malocchio». Nel Vittoriale, «strani amuleti si scoprono un po' ovunque: corna contro la iettatura e il malocchio e altri simboli a difesa della "nigra magia", a cominciare dal "diavolesco mostro", cornuto e linguacciuto chiuso nella nicchia protetta sulla facciata della Prioria che non esiste più. Fu rubato negli anni Cinquanta, D'Annunzio lo chiamò, dalla forma, il Fallo d'oro».
Vengono poi riportate le passioni per le pietre preziose e magiche, le proprietà dei metalli, le energie vegetali, le forze animali, e, soprattutto, gli animali come simboli. In questo caso Mazza e Bortolotti allineano, in ordine alfabetico, gli animali e il loro significato per il Vate. Dall'aquila al cavalluccio marino, dal cigno al granchio, dal leone alla tartaruga. «D'Annunzio si identificò spesso nella tartaruga per una ragione magica essendo simbolo dell'astuzia, del silenzio, della prudenza e della longevità. Quando nacque a Pescara viveva già da 30 anni una tartaruga che ebbe successivamente una compagna. Le due tartarughe erano assai affezionate all'adolescente Gabriele: obbedivano al suo richiamo e andavano a mordicchiargli le scarpe. L'amica marchesa Luisa Casati Stampa, legata al poeta anche per essere come lui fortemente interessata all'esoterismo, gli donò nel 1924 la grande tartaruga Cheli (in greco Khélys), così battezzata da D'Annunzio che si vuole morta per indigestione nei giardini della Prioria». Il suo guscio venne poi collocato nella Stanza della cheli che è la stanza da pranzo, «simbolico invito agli ospiti alla sobrietà».
«Piccole tartarughe d'oro e d'argento da donare come amuleti agli amici commissionò a Renato Brozzi; ne fece omaggio di una d'oro anche a Tazio Nuvolari, uomo più veloce del mondo, a conclusione di una visita al Vittoriale».
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