Il dramma delle carceri in Senato: Fina legge in aula il diario di Alemanno

La testimonianza dell’ex sindaco di Roma oggi detenuto a Rebibbia: «Una tortura: dentro le celle si muore di caldo, invece la politica dorme con l’aria condizionata». Troppa afa e sovraffollamento, una situazione che si riscontra anche negli istituti d’Abruzzo
PESCARA. «“Nelle carceri si muore di caldo, mentre la politica dorme con l’aria condizionata”. Onorevoli colleghi e colleghe, queste sono le parole di un avversario politico che da me sento molto lontano, ma che fotografano perfettamente la situazione degli istituti di pena italiani. E quelli abruzzesi non stanno meglio». Così il senatore del Pd Michele Fina ha scelto di presentare la testimonianza offerta dal diario dal carcere di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma (di schieramento politico diametralmente opposto) attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia. Parole che in aula sono cadute come una mannaia e che hanno spostato l’attenzione dalla giustizia che sarà a quella che è oggi.
Alemanno non è sottoposto al regime del carcere duro, eppure descrive la vita dietro le sbarre come una «tortura», dove ai cronici problemi del sovraffollamento e della mancanza di personale si è aggiunto ora quello del caldo torrido dell’estate. Il clima carcerario è «insostenibile fisicamente e psicologicamente», con temperature che arrivano a 40 gradi e un ventilatore da tavolo come unica e parziale forma di sollievo per un’intera cella, in cui spesso dormono 6-7 persone.
La scelta di utilizzare le sue parole per denunciare la situazione degli istituti di pena italiani ha fatto scalpore, ma il senatore spiega che «il suo diario dal carcere non evoca l’appartenenza politica bensì, attraverso la condizione umana in regime di reclusione, l’umanesimo stesso come base imprescindibile della civile convivenza. Il suo è un nome che può aiutare a superare la polemica pregiudiziale per rimettere al centro la dignità umana». Una questione urgente che, secondo Fina, va affrontata subito, perché «le carceri non devono essere un angolo buio con i diritti fondamentali sospesi». A testimonianza dello stato attuale del regime detentivo italiano, il senatore dem porta dei dati: «Se la condizione carceraria è una misura della civiltà di uno Stato, guardiamo dove siamo arrivati: oggi siamo a oltre 62mila detenuti (dati del ministero della Giustizia al 30 giugno 2025), in un sistema che può ospitarne circa 51.000, di cui 5.000 non sono comunque disponibili: quindi 16.000 persone in eccesso, con punte drammatiche in alcune regioni». Un clima che non può che esasperare i detenuti e peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro di chi già deve affrontare il problema della mancanza di personale. «Basta andare in un istituto di pena, cosa che i parlamentari dovrebbero fare costantemente, per verificare che dovunque ci sono carenze insostenibili», prosegue Fina, «interi reparti gestiti da un solo poliziotto. Mancano migliaia di persone. E le carceri abruzzesi sono tra le peggio messe d’Italia, con scoperture di oltre il 30%». Il dem, poi, punta il dito contro il governo, reo di aver «fatto poco o nulla: il piano carceri promesso a luglio 2023 è ancora senza gambe, nessun investimento strutturale nonostante i proclami, nessun passo avanti sulla giustizia di prossimità o sulle pene alternative. Anche le misure più semplici, come ampliare l’organico della polizia penitenziaria o ridurre i tempi di detenzione preventiva (oggi oltre il 15% dei detenuti è in attesa del primo giudizio, 25% se consideriamo il giudizio definitivo), non sono state affrontate».
Fina non si limita a individuare i problemi ma individua anche delle possibili soluzioni: l’estensione delle misure alternative alla detenzione, in particolare per i reati minori e non violenti, la depenalizzazione di alcune fattispecie minori e il maggiore uso del braccialetto elettronico, l’assunzione e formazione per il personale penitenziario e, infine, la costruzione di nuove strutture più piccole, orientate al reinserimento, perché, conclude il senatore, «il carcere non deve essere solo custodia, ma soprattutto accompagnamento al ritorno nella società».