L’aumento (lieve) delle pensioni e le novità in arrivo: ecco le principali simulazioni

Scatteranno dal 2026 e secondo l’Inps il montante contributivo dei lavoratori sarà rivalutato del 4,4%. L’assegno minimo di 603 euro avrà 10,25 euro al mese, sale a 70 euro su importi oltre 5mila euro
L’AQUILA. Pensioni in aumento (lieve) da gennaio 2026. Gli assegni pensionistici saranno incrementati di circa l’1,7%, ma gli incrementi saranno differenti a seconda dell’importo percepito. Il meccanismo è basato sull’andamento dei prezzi al consumo: se l’inflazione cresce, anche la pensione deve salire, così da non far perdere valore agli assegni. Tuttavia, da alcuni anni la rivalutazione non è totale per tutti: risulta al 100% solo per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo Inps ovvero 2.466 euro lordi, scende al 90% per pensioni tra 4 e 5 volte il minimo e al 70% per gli assegni oltre 5 volte il minimo. C’è un’altra novità in arrivo. L’Istat ha fatto sapere che il montante contributivo di lavoratrici e lavoratori, per il 2026, sarà rivalutato del 4,4%. È tra le quote più alte degli ultimi vent’anni. A beneficiarne sarà chi andrà in pensione dal prossimo anno: i contributi varranno di più e l’assegno sarà più alto.
GLI AUMENTI IN CIFRE
Il calcolo è presto fatto. Con un’ipotesi di inflazione pari all’1,7% chi percepisce la pensione minima di 603 euro avrà 10,25 euro al mese; con una pensione di 800 euro si avranno 13 euro in più; con mille euro l’aumento sarà pari a 17 euro mensili; con 1.500 euro sarà di 25,5 euro; chi prende 2mila euro di pensione beneficerà di un incremento mensile di 34 euro. Per le pensioni intorno a 2.460 euro l’aumento sarà di 40 euro. Oltre i 3mila euro, l’aumento risulta di 46 euro, mentre per le pensioni oltre i 5mila euro sarà di 70 euro mensili. Questi i calcoli sulla base delle stime attuali di inflazione, ma l’importo effettivo dipenderà da due fattori: la Legge di bilancio 2026, che potrebbe introdurre correttivi al meccanismo di rivalutazione, e le decisioni della Corte costituzionale, che si è già espressa in passato sul tema della legittimità degli adeguamenti parziali. A beneficiare maggiormente della rivalutazione saranno le pensioni più basse, che avranno la rivalutazione piena. Per gli assegni più alti la percentuale sarà ridotta, con aumenti meno consistenti.
PENSIONI PIù ALTE
Buone notizie anche per chi andrà in pensione il prossimo anno. I contributi accumulati finora avranno un valore più alto per effetto del cosiddetto meccanismo di rivalutazione del montante contributivo, che si farà sentire positivamente soprattutto per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi e rientra pienamente nel regime contributivo. Si parla di montante contributivo per indicare tutti i contributi messi da parte da chi lavora, che sia dipendente o autonomo. Ogni anno, questa somma viene rivalutata, per fare in modo che non perda il suo valore. A differenza di quanto avviene con le pensioni, i contributi non si rivalutano sulla base dell'inflazione, ma si utilizza come riferimento la crescita economica del Paese, e in particolare l'andamento del Pil negli ultimi cinque anni. La rivalutazione, quest’anno, vale il 4,04%, uno dei tassi più alti registrati negli ultimi vent’anni. La rivalutazione si applica a tutti i contributi accumulati dal 1° gennaio 1996 – quando è entrato in vigore il sistema contributivo – fino al 31 dicembre 2024. Si esclude l’ultimo anno, ovvero i contributi del 2025. L’aumento del 4,04% pertanto aiuterà, soprattutto, chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi. La rivalutazione non si applica ai contributi versati prima di quella data perché allora era in vigore il sistema retributivo: l’assegno pensionistico non si calcolava sulla base dei contributi versati, ma delle ultime buste paga ricevute. Per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, il calcolo della pensione è misto, in parte retributivo, in parte contributivo: la rivalutazione dei contributi perciò ha un effetto leggermente ridotto.
IL PARADOSSO
L’Italia si prepara ad affrontare un nuovo innalzamento dell’età pensionabile, ma la durata effettiva della vita lavorativa resta tra le più basse in Europa. È il paradosso che emerge incrociando i dati della Ragioneria generale dello Stato con quelli diffusi da Eurostat. Secondo le stime contenute negli ultimi scenari di lungo periodo, dal 2027 l’età per il pensionamento tornerà a crescere. Se oggi il requisito è fissato a 67 anni, nel 2050 salirà a 68 anni e 11 mesi per arrivare fino a 70 anni nel 2067. L’Italia rappresenta un’anomalia nel panorama europeo: è tra i Paesi con l’età pensionabile più elevata, ma allo stesso tempo con la durata media della vita lavorativa più breve. Un’apparente contraddizione che si spiega con una combinazione di fattori tra cui il fatto che si comincia a lavorare molto tardi.

