Ma sono davvero gli arrosticini “d’Abruzzo”? È scontro sulla carne estera

La fazione del marchio Dop, i sostenitori dell’Igp e le pecore da Francia e Irlanda. La produzione regionale è troppo bassa per soddisfare la domanda: importazioni obbligate
PESCARA. Per realizzare l’arrosticino, piatto tipico d’Abruzzo e suo emblema gastronomico nel mondo, non si utilizza pecora locale. Si preferisce la carne francese o, in alternativa, quella proveniente sempre da altri paesi europei come Romania e Irlanda. Un’internazionalità non voluta e, a tutti gli effetti, forzata dalla necessità: questo ibrido è determinato dal grande fabbisogno di carne ovina, cui non corrisponde altrettanta disponibilità. In altre parole, la domanda supera l’offerta e rende pertanto inevitabile l’orientamento sul mercato carnivoro estero. Se a ciò si aggiunge poi anche una valutazione – del tutto discutibile – che viene fatta in termini di succosità e digeribilità, la “frittata” è fatta. Il paradosso, già noto da tempo, è riemerso con prepotenza nei giorni scorsi dopo la messa in onda della puntata di “Foodish”, su Tv8, in cui Joe Bastianich, accompagnato dall’esperto di comunicazione Paride Vitale, andava alla ricerca del miglior arrosticino di Pescara.
Ebbene, tutti e quattro i ristoranti coinvolti nella gara hanno candidamente ammesso di proporre ai clienti arrosticini di pecora francese. Apriti cielo. Eppure la questione si trascina da un po’, contrapponendo in particolar modo i tifosi dell’arrosticino Dop a quelli del “rostello” Igp. Nel primo caso, sostenuto dalla Coldiretti, si parla della denominazione di origine protetta, mentre nel secondo caso si fa riferimento all’indicazione geografica tipica. Che differenza c’è?
È il presidente dell’associazione regionale allevatori (Ara), Pietropaolo Martinelli, a spiegarlo: «Il riconoscimento dell’Igp, diversamente dalla Dop, prevede che una sola delle fasi di lavorazione del prodotto finito avvenga all’interno dell’area geografica determinata (e quindi Abruzzo), dando il colpo di grazia all’allevamento regionale che, invece, proprio dall’arrosticino potrebbe ripartire e tornare ad essere uno dei settori trainanti dell’agroalimentare abruzzese. Ci siamo pertanto appellati alla politica regionale chiedendo di non indietreggiare per logiche di mercato o per favorire la produzione industriale. È necessario, ora più che mai, che venga presa una posizione chiara e si operi concretamente per presentare a Bruxelles la Denominazione di origine protetta (Dop) e non semplicemente l’Indicazione geografica protetta con l’obiettivo di salvare un settore e riportarlo allo splendore che merita ma anche per permettere al consumatore, aspetto di non poco conto, di poter scegliere un arrosticino fatto veramente con carne abruzzese e non semplicemente macellata o confezionata in Abruzzo».
Martinelli evidenzia che «oggi il prodotto simbolo della nostra pastorizia si basa sull’importazione massiccia di carni ovine estere, più facili da reperire e lavorare: il risultato è che più di tre arrosticini su quattro hanno provenienza straniera. Se da una parte l’arrosticino conquista le piazze e i mercati internazionali, dall’altra la zootecnia abruzzese deve fare i conti, ogni giorno, con gli insostenibili prezzi di gestione, le conseguenze del cambiamento climatico e il fisiologico abbandono dell’attività da parte dei pastori che oggi sono meno di mille e governano un patrimonio di circa 190mila capi adulti, di cui un terzo destinati alla produzione dei rinomati “spiedini” di pecora. L’aggravante attuale è la lingua blu che ha colpito le greggi e ha ulteriormente complicato lo stato di salute delle aziende ovine del territorio».
È stato studiato un partenariato con l’Istituto zooprofilattico di Teramo, le aziende zootecniche del territorio e la stessa Associazione regionale allevatori, ultimando inoltre un importante progetto di ricerca per arrivare alla massima valorizzazione possibile dell’arrosticino come patrimonio gastronomico del nostro territorio. A tale riguardo è anche stata presentata la pubblicazione degli studi effettuati: quella tecnico-scientifica nell’Izs e quella storica nell’università d’Annunzio. L’iter della Dop, invece, è in corso e occorrerà altro tempo ancora.
Verrà definito un disciplinare, fondamentale in questi casi per poter avere maggiore certezza: «E poi», prosegue Martinelli, «andremo a dimostrare che le carni ovicaprine allevate in Abruzzo con il nostro pascolo montano hanno una qualità superiore a quelle che vengono importate dall’estero, che magari sono alimentate con mangimi e quant’altro. Sarà coinvolta anche la parte industriale di trasformazione delle carni locali perché questa deve essere tutta una filiera. Lo scopo finale sarà altresì il ripopolamento di capi ovini in Abruzzo, per poter tornare a riallevare pecore autoctone e ripopolare i nostri monti».
Per Slow Food, «originariamente l’arrosticino nasceva per valorizzare carni ovine “a fine carriera”, in una logica di economia circolare e recupero, mentre oggi la carne utilizzata proviene spesso da filiere lunghe e globalizzate, slegate dal territorio, e non soddisfa criteri qualitativi che vadano oltre l’aspetto gustativo».
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