Napolitano bis, polemiche e proteste M5s in bus dall’Abruzzo contro "il golpe" Il Pd regionale nel caos: litiga e si divide

In piazza anche i militanti di Rifondazione. Vespa replica a Pezzopane: sei senatrice grazie a Marini
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PESCARA. Ora la carica suona anche nelle piazze abruzzesi. Enza Blundo, senatore della Repubblica, aquilana, eletta dal Movimenta 5 Stelle, si mobilita già prima della proclamazione di Giorgio Napolitano presidente: «In Parlamento sta succedendo una cosa assurda. Ho chiamato a raccolta i militanti del mio territorio per venire a Roma a manifestare con Grillo». E di rimando il collega di partito e di Parlamento Gianluca Vacca: «Oggi, 20 aprile 2013, si sta scrivendo una delle pagine più nefaste per il popolo italiano. I responsabili del fallimento del nostro paese, del disastro sociale nel quale ci ritroviamo, gli stessi che, a vario titolo, hanno ridotto l’Italia a un cumulo di macerie, si sono riuniti in una stanzetta, e hanno pensato a come dare il colpo di grazia agli italiani». Colpo di grazia o «golpe» di grazia, secondo un’interpretazione che ieri ha avuto molta fortuna.
IN VIAGGIO PER ROMA. Così gli attivisti abruzzesi del Movimento 5 Stelle ieri pomeriggio hanno raccolto l’appello di Beppe Grillo e sono partiti per Roma, per manifestare davanti al Parlamento. Si sono messi in viaggio un po’ da tutte le città della regione anche esponenti e militanti di Rifondazione e della sinistra radicale, che stanno organizzando per oggi alle 18 una manifestazione a Pescara in piazza Sacro cuore.
Per il consigliere regionale Maurizio Acerbo (Prc), «la vera sinistra è quella che protesta fuori dal Parlamento e non quella che sta con Berlusconi. Colpo di Stato» dice Acerbo riferendosi alle parole di Grillo «è un termine forte, ma il concetto è giusto. Il golpe è già cominciato con la nascita del Governo Monti».
Il monopolio della rabbia e della critica politica non è solo di grillini e comunisti. Anche dalle parti del Pd c’è chi protesta. Lo fanno per esempio, da giovedì i giovani democratici aquilani che, in sintonia con le posizioni antibersaniane della senatrice Stefania Pezzopane, hanno simbolicamente occupato la sede del partito. Ma striscioni molto critici si sono visti e letti anche a Teramo e Pescara. Ma sempre nel Pd c’è chi risponde con durezza ai discorsi sul golpismo. «Giorgio Napolitano», dice il deputato del Pd Giovanni Legnini, «aiuterà l’Italia malata ad organizzare risposte urgenti di Governo ai drammi sociali ed economici e ad avviare riforme profonde delle nostre Istituzioni. Parlare di golpe a fronte del 73% dei voti in Parlamento significa sparlare. Organizzare la marcia su Roma in nome del colpo di Stato è sintomo di arroganza e ignoranza democratica, non libera manifestazione del pensiero e del dissenso, che al contrario è ovviamente sacrosanta». Grillo sembra averlo ascoltato e a Montecitorio non c’è andato.
IL CASO PEZZOPANE. E dunque anche ieri il caso Pezzopane ha resistito e tenuto banco. Dopo tre voti dati a Stefano Rodotà (e tolti dunque a Franco Marini), ieri la senatrice aquilana del Pd ha rivolto un appello al professore candidato dei 5 Stelle per evitare la contrapposizione con Giorgio Napolitano. È stato l’ultimo atto della movimentata avventura quirinalizia della senatrice, che ieri ha ricevuto anche un rimbrotto non proprio amichevole da un concittadino di lusso come Bruno Vespa, accusato da Pezzopane di farsi «amplificatore del messaggio misogino e falso» secondo il quale sarebbe stata eletta grazie al passo indietro di Franco Marini dal posto di capolista al senato della circoscrizione Abruzzo.
VESPA ATTACCA. Secca e documentata la precisazione del giornalista: «Temo che la senatrice Pezzopane abbia torto. Al momento della presentazione delle liste fu il vice segretario Enrico Letta nella riunione della direzione del partito a ringraziare pubblicamente Franco Marini per aver ceduto il posto di capolista in Abruzzo alla signora Pezzopane. La senatrice pertanto è stata eletta soltanto per questo atto di generosità. Nel ricordare la circostanza ieri sera non ho peraltro minimamente messo in dubbio il pieno diritto della senatrice di votare per Stefano Rodotà o per chiunque altro».
Danno collaterale, la dichiarazione di Vespa, di una guerra che la Pezzopane ha combattuto su più fronti: all’interno del suo partito innanzitutto, e sulla rete, dove la senatrice ha spiegato, precisato, chiosato più volte la sua posizione.
LE CRITICHE INTERNE. «Più si difende più perde la causa», hanno commentato il capogruppo del Pd Camillo D'Alessandro (a Roma in questi giorni come grande elettorare) e l'onorevole Tommaso Ginoble. «Grazie a franchi tiratori come lei siamo tornati all'ipotesi Marini, ma senza Marini, senza Bersani e senza Prodi. Atteggiamento come questi hanno alimentato lo sconforto nel nostro popolo e negli abruzzesi. Complimenti».
Un commento che ha costretto Pezzopane a precisare di nuovo: «Non posso accettare di passare per traditrice della mia terra. È una vergogna assoluta per chi lo dice. Non stavamo eleggendo un rappresentante dell’Abruzzo, ma il Presidente della Repubblica, e lo stavamo eleggendo con un accordo preventivo con Berlusconi, rompendo il patto elettorale col centrosinistra, che votava altri candidati. Non tradisce chi esprime il dissenso, tradisce chi prima fa votare per l’alternativa a Berlusconi e poi costringe una platea spaesata a votare insieme a Berlusconi. Parliamo di questo. E non mascheriamo i problemi veri con la linea politica».
LA LINEA POLITICA. E infatti il problema è la linea politica, come sottolinea il segretario regionale Silvio Paolucci che considera «sbagliata», la scelta di Pezzopane. Difesa invece dal Pd aquilano: «L’elezione di Marini, persona onesta e degnissima, non sarebbe stata la risposta giusta alle istanze di cambiamento che arrivano dalla società e dal nostro elettorato. Inoltre Marini non era il candidato in grado di compattare il partito, e l’esito del voto sta lì a dimostrarlo». Quanto al posto da capolista della Pezzopane è «il riconoscimento per la vittoria alle primarie a cui Marini nemmeno ha partecipato, beneficiando di una deroga». Il dibattito continuerà? C’è da giurarlo.
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