Paz e la sua Pescara irripetibile

Paolinelli e gli amici raccontano il geniale disegnatore scomparso

Sono trascorsi 22 anni dalla morte di Andrea Pazienza; era una calda giornata di giugno del 1988 quando la notizia irruppe improvvisa nei telegiornali da Montepulciano, ma tutto ciò che riguarda Paz ha sempre lo stesso sapore di contemporaneità. Come si può capire leggende il piccolo libro a lui dedicato, «Caro Andrea», pubblicato a San Severo, sua terra d’origine. Fra i diversi contributi pubblicati, c’è una lettera privata, inedita, scritta da Andrea Pazienza alla sua fidanzata, Isabella Damiani, all’epoca dei fatti quindicenne.

La lettera, datata 10 maggio 1975 venne scritta il giorno dopo l’inaugurazione della sua prima personale che si tenne a Pescara nella galleria d’arte Convergenze. Scrive Paz: «Spero tu abbia capito cosa significhi per me Pescara e in cosa identifichi il mio ambiente, è meraviglioso e complesso e completamente imparagonabile a nessun altro, e fatto da immagini e frasi sconnesse, ma vitali, di istanti folli e irripetibili, di cinismo e di magia, di pettegolezzi, di lazzi e ubriachezze moleste, di sogni, di guerre e meravigliosi ritrovarsi, e di cultura a tutti i livelli, e di aerei e di armi, e di rivolte mai sopite. Ieri, era, o avrebbe dovuto essere il mio giorno».

Andrea, seppur giovanissimo e già cosciente della sua bravura così come lo erano tutte le persone che gli erano vicine, descrive, in una lettera privata, privatissima, l’universo in cui si sta formando e descrive Pescara, la città che ha scelto per studiare, come il migliore dei mondi possibili. Quella Pescara, quell’umanità con la quale era in contatto e che attraversava, avrebbe inciso in maniera positiva e irreversibile sulla sua coscienza di artista.

«Caro Andrea» si apre con un’intervista alla mamma di Paz che alla domanda «E nella sua formazione artistica quali figure sono state importanti?» risponde così: «Dopo suo padre non ho dubbi, i professori di Pescara, Visca e Paolinelli. Lo hanno capito e stimolato, lo hanno trattato da pari, hanno avuto con lui un rapporto che andava ben oltre quello canonico. E gli hanno voluto molto bene»

Ed è proprio con Paolinelli che inizia il viaggio per rievocare la Pescara nella quale si stava formando un giovane, grande, artista. Albano Paolinelli, già vicepreside del liceo artistico Giuseppe Misticoni di Pescara e insegnante di ornato disegnato al terzo e al quarto anno, è stato molto di più di un docente per il giovane Paz, quasi una levatrice. Ha accompagnato e assecondato la crescita di un talento naturale con una disponibilità sempre generosa.

Paolinelli, si è accorto subito delle capacità di Andrea Pazienza?
 
«Andrea aveva delle capacità “innaturali” che sono state evidenti fin dal primo impatto. Noi abbiamo lavorato forse a ripulirlo un po’. Lui gioiva nel riempire il foglio. Riempiva tutto e non lasciava spazi vuoti. Se c’è una cosa che ho provato a insegnarli è stato il tentativo di non occupare tutto lo spazio a disposizione. Per questo fui molto felice quando mi regalò le prime tavole a colori che pubblicò per Alter Alter, le armi. Per la prima volta infatti, vidi in quelle tavole un bell’equilibrio tra pieni e vuoti. Mi disse “Ti devo ringraziare per quello che mi hai dato”. Quelle tavole poi se le riprese per una mostra e non le ho mai più riviste».

In quale ambiente culturale è cresciuto il giovane Pazienza e cosa c’era in quella Pescara dei primi anni Settanta che tanto l’affascinava?
 
«Quella città, quella Pescara, gli trasmetteva una grande forza perché era una città nella quale scopriva sempre cose nuove. Il ciclo di mostre della galleria d’arte Nuova Dimensione di Cesare Manzo e poi, subito dopo, il ciclo vitale di Convergenze. Erano infatti gli anni in cui fondammo il Laboratorio comune d’arte Convergenze. Siamo nel 1973 e Nuova Dimensione, la galleria d’arte di Cesare Manzo, aveva chiuso i battenti.

Fu così che un gruppo di artisti, Sandro Visca, Angelo Colangelo, Dino Colalongo, Armando Misticoni, Elio Di Blasio, Alfredo Del Greco, oltre al sottoscritto, ovviamente, capitanato da Peppino D’Emilio diede vita a quella meravigliosa esperienza che fu Convergenze. I primi tempi furono duri, c’incontravamo nello studio di D’Emilio in via Umbria perché non c’erano soldi per prendere in affitto un locale. Poi la situazione cambiò grazie all’intervento di alcuni imprenditori che ebbero fiducia nel nostro progetto e finanziarono l’iniziativa».

Quando entra in scena Pazienza in tutto ciò?
 
«Andrea era già in scena, seppur giovanissimo, fin dai tempi di Nuova Dimensione. E quando prese il via la nuova avventura decidemmo di far entrare nel gruppo alcuni giovani artisti, Ilvi Capanna, Piergiorgio D’Angelo, lo stesso Pazienza».

La Pescara di «cultura a tutti i livelli», popolata di artisti e imprenditori illuminati che sponsorizzano l’arte e la cultura in genere, è questa di cui sta parlando?
 
«Noi ci si incontrava tutti i pomeriggi in galleria. La galleria era il centro del nostro mondo. Convergenze in quegli anni non si occupava solo di arti visive ma si svolgevano tante attività. Andrea ribattezzò la galleria “Concertenze”.

Si facevano quasi più concerti di musica classica che altro. La sezione musica era diretta da Ugo Fusco del conservatorio di Pescara e sono nati in lì, musicalmente parlando, grandi concertisti come Sandro Carboni o Diego Conti. Via Edmondo De Amicis, la sede della galleria, era la nostra casa, il nostro universo. Era aperta alla lettura. Si faceva teatro. Realizzammo anche un Festival del cinema d’artista. Si produceva cultura e la si vendeva».