L’intervista a Aldo Cazzullo: «La Brigata Maiella un esempio per l’Italia intera. È stata la Resistenza perfetta»

30 Aprile 2025

Quanta percezione hanno i giovani di oggi della storia di ieri? Hanno delle responsabilità gli antifascisti per questa mancanza di consapevolezza della storia d’Italia? Ne parliamo con chi di fascismo e antifascismo ha scritto, commentato, interloquito: Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore

Il fascismo cambia pelle, strisciante e insidioso, attraversa le generazioni, si insinua nelle pieghe della società. Pericoloso, a tratti letale, al punto da cercare di oscurare i valori fondanti della nostra Costituzione. E quanta percezione hanno i giovani di oggi della storia di ieri? Hanno delle responsabilità gli antifascisti per questa mancanza di consapevolezza della storia d’Italia? Ne parliamo con chi di fascismo e antifascismo ha scritto, commentato, interloquito: Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore.

Aldo, i valori della Resistenza oggi sono a rischio?

«C’è stata, in questi trent’anni, una guerra della memoria in Italia. Ebbene, questa guerra noi antifascisti l’abbiamo perduta: intanto, perché se sei antifascista allora tanti ti considerano automaticamente comunista o comunque di sinistra, e non è così».

Cos’altro?

«Poi perché tanti italiani non hanno un’opinione negativa del fascismo perché non sanno o, peggio, non vogliono sapere quello che il fascismo ha fatto agli oppositori, ai libici, agli abissini, alle donne, agli ebrei e con la Seconda Guerra mondiale a tutti gli italiani».

Il coraggio di chi allora ha combattuto per la libertà mettendo a rischio la propria vita oggi non viene universalmente riconosciuto. Esiste un modo per evitare che la lotta per la libertà di tutti venga trasformata dai politici in una rissa di parte?

«L’unico modo è la trasmissione della memoria. Oggi le voci dei partigiani si stanno spegnendo una ad una, la loro memoria è affidata a noi. Siamo noi che dobbiamo trasmettere ai nostri figli e ai nostri nipoti. Purtroppo si è sedimentata un’idea completamente falsa della Resistenza».

In che senso?

«È come se fosse soltanto una cosa rossa, mentre in realtà, tra i partigiani, c’erano comunisti, certo, ma anche socialisti, azionisti, anarchici. E c’erano moderati, liberali, cattolici, monarchici e tanti ragazzi di 20 anni che non sapevano neanche cosa fosse un partito, ma che non volevano combattere per Hitler e Mussolini. Non solo, ma il no detto ai nazifascisti non fu detto solo dai partigiani, ma anche dai civili, dagli ebrei, dalle donne, dai militari, dai carabinieri, dai poliziotti, dai 600mila internati militari in Germania che preferirono restare nei lager in condizioni disumane».

Di quante persone parliamo?

«Sessantamila di loro morirono di fame e di stenti pur di non combattere per Hitler. E la scelta fu fatta anche dai sacerdoti, dalle suore. Ricordiamo i 190 sacerdoti fucilati dai fascisti e i 120 dai nazisti. Quindi la Resistenza dovrebbe essere patrimonio della nazione e non della fazione E non esiste come qualcuno scrive, un altro 25 aprile, diverse Resistenze. La Resistenza è una sola, il suo valore è proprio nel fatto che gli italiani, che la pensavano diversamente su moltissime cose, seppero unirsi contro il nazifascismo dalla stessa parte, la parte giusta».

La Brigata Maiella è una delle formazioni più rappresentative della Resistenza. Dopo aver combattuto in Abruzzo avrebbe potuto fermarsi e invece si è spostata al Nord per continuare la lotta. E soprattutto era composta da persone di varia estrazione politica e sociale. Un esempio che i posteri non hanno seguito. Che ne pensi?

«Penso che la Resistenza in Abruzzo sia veramente esemplare, quello che voglio dire è esattamente quello che è successo in Abruzzo, una resistenza di popolo in cui i contadini, i montanari, i borghesi delle città si schierano dalla parte dei partigiani e tra i partigiani c’è di tutto. Ci sono innanzitutto i militari che non volevano essere presi prigionieri dai tedeschi, ci sono i giovani che rifiutano di arruolarsi per la Repubblica di Salò, la banda di Armando Ammazzalorso, la brigata Maiella, ed è significativo che la Brigata Maiella continui a combattere anche quando l’Abruzzo è già libero».

Perché?

«Perché pensavano che i partigiani non sarebbero stati veramente liberi fino a quando un solo nazista invasore fosse rimasto in Italia. Ammazzalorso grida “perdonate i fascisti”, si pone il problema della riconciliazione nazionale, di ricostruire l’unità italiana. La Resistenza in Abruzzo è stata praticamente perfetta e non a caso, Carlo Azeglio Ciampi, da cui ho imparato questo concetto di Resistenza plurale, era legatissimo all’Abruzzo perché a Scanno riuscì a passare le linee, lui militare, e a unirsi all’esercito italiano che dal sud, accanto agli Alleati, risaliva la penisola combattendo contro i tedeschi invasori. E anche per questo Ciampi era legatissimo alla gente d’Abruzzo».

Perché è tanto difficile, da parte di personaggi di questo governo, pronunciare la parola Antifascismo?

«Non ce la fanno proprio a dirsi antifascisti ed è inutile continuare a chiederglielo, Non lo sono, sono anti-antifascisti, non sono apertamente fascisti, ci mancherebbe altro, però non sono antifascisti. Tra fascisti e antifascisti gli stanno più antipatici gli antifascisti. Ma non è solo l’atteggiamento della Meloni o di La Russa o di qualche ministro, è un atteggiamento molto diffuso tra gli italiani».

È preoccupante, non è vero?

«Ci sono ancora i fascisti, più di quelli che pensiamo, ci sono i filo fascisti, ci sono gli antifascisti ovviamente ma non sono la maggioranza. Alla maggioranza degli italiani o non gliene frega niente o, se deve scegliere, gli stanno più antipatici gli antifascisti. Questa ovviamente è una sconfitta per gli antifascisti che, o non sono riusciti a trasmettere la memoria o non sono riusciti a trasmettere i loro valori. Sicuramente hanno commesso degli errori. Ma è così».

Quando si parla di Resistenza penso al Papa, un po’ resistente e un po’ rivoluzionario. Che eredità lascia?

«Io non confonderei le due cose, il fatto che il Papa sia morto a ridosso del 25 aprile non c’entra nulla. Il papa non era un partigiano, faceva il Papa. Certo era un Papa progressista ed è anche ipocrita dire che non esistono papi progressisti e conservatori».

Esistono?

«Certo che esistono e Bergoglio era progressista. Amava la libertà, la democrazia, ha condannato più volte l’estrema destra, però non farei un collegamento diretto, perché io sono sempre molto freddo quando viene usata la Resistenza per cause, anche nobili, ma che non c’entrano niente. Guardate che l’antifascismo militante degli anni Settanta ha fato molto male all’antifascismo, quello vero».

Ci spieghi meglio?

«Anche schierare l’Anpi contro l’Alta velocità in Val Susa è un errore. Io posso essere contro o a favore dell’alta velocità, ma non c’entra niente la Resistenza. Lasciamola un po’ in pace, non logoriamola perché sennò poi non dobbiamo stupirci se un numero di persone che tende a diminuire si riconosce nei valori della Resistenza».

Per i giovani di oggi il 25 Aprile è la festa di tutti?

«Vuoi una risposta ufficiale o per amici?».

Le voglio entrambe.

«Quella ufficiale è: certo, è una cosa molto importante. Per amici ti dico che a molti giovani non gliene frega niente».

Addirittura?

«Dipende molto dalla memoria familiare, gli italiani hanno il senso della patria. La memoria nazionale, la storia nazionale ci infervora e ci commuove soprattutto quando coincide con la storia delle nostre famiglie. E tanti hanno avuto il nonno, lo zio, il padre fascista anche dopo l’8 settembre e dire oggi “Mio padre o mio zio o mio nonno era un ragazzo di 20 anni cresciuto con il fascismo, e pensava che il fascismo fosse l’Italia e fece in buona fede una scelta sbagliata”. Ecco questo è un ragionamento e invece in questi casi l’adesione viene di pancia: “Era mio nonno, mio zio, mio padre e quindi aveva ragione lui”. Se poi scopro che anche dall’altra parte ci furono persone che si comportarono male, e ce ne furono, ecco che, alè, “siamo stati tutti fascisti, tutti antifascisti”».

Una disamina impietosa del pensare comune dei giovani la tua.

«No, non è questa la storia d’Italia. Non è vero che tutti gli italiani sono stati fascisti, è sempre molto difficile misurare il consenso di una dittatura. Ovvio che gli antifascisti militanti erano una piccola minoranza, i fascisti ti aspettavano sotto casa, ti sfasciavano la testa, ti mandavano davanti al tribunale speciale: 31 condanne a morte eseguite, 5mila persone in carcere, 30mila al confino, che era la morte civile e non una vacanza».

Proviamo a sintetizzare il concetto?

«Per sintetizzare, gli italiani non sono stati tutti fascisti, temo che queste cose interessino poco i giovani, temo che i giovani cresciuti con i social pensino che il fascismo non era poi così male. Non dico che i social sono di destra, ma di sicuro c’è orte propaganda di destra, cui gli antifascisti non hanno saputo rispondere in modo fattuale, concreto, preciso con delle storie, delle idee, dei valori».

Il caso della fornaia identificata per aver esposto uno striscione antifascista è un segnale pericoloso?

«La storia della fornaia è pazzesca, io voglio vivere in un Paese in cui la Digos interviene se scrivo “Viva il Dice” e non “Viva il 25 aprile”. Così come fu pazzesco che la Digos intervenne alla Scala per identificare l’uomo che urlò “Viva l’Italia antifascista”: avrebbe dovuto intervenire se avesse gridato “Viva l’Italia fascista”».

Il tentativo di far passare sotto silenzio un pezzo importante della storia d’Italia è percepito da tutti o è una questione che riguarda solo una parte della popolazione?

«No, non è percepito da tutti, è percepito da una minoranza e questo ovviamente mi dispiace. È per questo che scrivo che la guerra della memoria noi antifascisti l’abbiamo perduta».

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