Pil Abruzzo, persi 6 punti e 24 mila posti

L’economista Mauro: la ripresa sarà lenta, preoccupa il dato dell’occupazione. Crisi finanziaria e terremoto responsabili del calo. Il dato 2009 depurato dall’inflazione, le maggiori criticità a Chieti per l’export e a L’Aquila per il terremoto

PESCARA. Il Pil dell’Abruzzo è diminuito del 6% nel 2009. Un effetto combinato del terremoto e della recessione mondiale innescata dalla crisi finanziara.

«Solo le politiche di stabilizzazione hanno impedito che la crisi assumesse effetti ancora più devastanti», dice l’economista Giuseppe Mauro, docente all’Università D’Annunzio di Pescara, «ma l’Abruzzo è una delle regioni italiane che hanno maggiormente risentito della recessione».

Quali sono le ragioni di questa forte debolezza dell’Abruzzo?
«La fase recessiva appare acuta a ragione di cinque aspetti: innanzitutto la caduta dell’export, che nel 2009 è stata del 31,7%, soprattutto nel settore dei mezzi di trasporto (-49%) e dei metalli (-32%), contro il 20,7% dell’Italia. A livello occupazione abbiamo invece 24mila addetti in meno. Siamo passati cioè da 518mila a 494mila addetti, il -4,8%, la percentale più alta tra le regioni italiane. Poi c’è il tasso di disoccupazione che è passato in Abruzzo dal 6,6 all’8,1%, mentre in Italia è al 7,8%. C’è poi la stima della caduta del Pil che si prevede essere del 6% su valori concatenati riferiti al 2000 (si tratta della caduta del Pil in termini reali cioè deputata dall’inflazione, ndr) con punte del 6,1% a Chieti e L’Aquila. Il Pil a prezzi correnti è invece del -3,8%, che però è sempre tanto».

L’ultimo aspetto?

«Il sistema bancario, dove gli impieghi sono cresciuti dello 0,6%, sono cioè rimasti praticamente immutati».

In questo quadro c’è un aspetto che la preoccupa di più?
«Sicuramente la caduta dell’occupazione, perché la durata incerta della crisi, la ripresa lenta della domanda e la ristrutturazione del sistema produttivo, potranno comportare all’indomani della crisi un ulteriore calo occupazionale. Quindi, forse per la prima volta, la ripresa produttiva, pur lenta, non sarà accompagnata dalla ripresa dell’occupazione. Ma c’è un altro elemento di riflessione...»

Quale?

«La graduatoria del Pil procapite nel 2009 tra le 103 province italiane. Tutte le province abruzzesi fanno passi indietro e tutte sono tra il 70esimo e 73esimo posto. E’ come se si tornasse a prima del 2000».

Quando ne usciremo fuori?

«Sulla ripresa ci sono dati troppo incerti se non contrastanti. C’è un dato Isae del primo trimestre 2010 che dà una ripresa quasi impercettibile rispetto all’ultimo trimestre 2009. Ma soprattutto non si intravede quella accelerazione necessaria a ribaltare la crisi. Certo, il punto di caduta più basso è alle spalle ma la via d’uscita è stretta e difficile».

L’Abruzzo come sta affrontando la crisi?
«Naturalmente la prima condizione per tornare sulla strada dello sviluppo è che riprenda il trend espansivo dell’economia mondiale e nazionale. Ma detto questo, è sorprendente come rispetto a una situazione complessiva di caduta dei principali indicatori economici non ci sia stata una discussione vera, approfondita sulle cose da fare».

Che fare dunque?
«Certamente bisogna chiudere con quegli elenchi interminabili delle cose da fare, vere e proprie lenzuolate inconcludenti. Sarebbe invece più opportuno porsi obiettivi precisi, avendo bene in mente le risorse disponibili, sia statali che comunitarie. E poi mi sembra opportuno che, rispetto al debito pubblico regionale, si affronti il discorso dell’eliminazione degli sprechi, per avviare la Regione sulla strada del risanamento. C’è bisogno poi di un rapporto serio e lungimirante tra le istituzioni e le banche. Infine è necessaria una riflessione sui temi della crescita economica che coinvolga tutti, non solo la politica».

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