L'appuntato abruzzese dei carabinieri Giovanni D'Alfonso

PENNE

Squarcio nell'inchiesta sulla morte del carabiniere-eroe D'Alfonso

Dopo 50 anni la Procura di Torino indaga l'ex Br Azzolini. Il figlio dell'appuntato contribuì a far riaprire le indagini: "E' solo un primo passo e ci sono altri che sanno esattamente come andarono le cose"

PESCARA. Dopo quasi 50 anni si apre uno squarcio nell'inchiesta sulla sparatoria in cui fu ucciso il carabiniere abruzzese Giovanni D'Alfonso. La Procura di Torino ha notificato un avviso di garanzia a Lauro Azzolini, 79 anni, ai tempi capo della colonna milanese delle Br e che si è poi dissociato. Ottenuti i benefici di legge dopo una condanna all'ergastolo, attualmente collabora per una cooperativa di disabili. Azzolini riuscì a fuggire durante la liberazione dell'imprenditore vitivinicolo Vittorio Vallarino Gancia, nel conflitto a fuoco con i carabinieri davanti alla cascina Spiotta, in provincia di Alessandria, nel quale morì, oltre all'appuntato D'Alfonso, la brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, e due carabinieri rimasero feriti, di cui uno perse un braccio.

Azzolini è già stato prosciolto dalle accuse per la sparatoria e il 9 maggio si terrà un'udienza davanti al gip del tribunale di Torino che dovrà decidere se riaprire o meno le indagini.

La notizia dell'avviso di garanzia non ha colto di sorpresa Bruno D'Alfonso, di Penne, figlio del carabiniere ucciso nella sparatoria, che nel novembre del 2021 riuscì a far riaprire le indagini dalla Procura di Torino dove in questa fase ci sono anche altri indagati, fra i quali Renato Curcio, ex capo e fondatore delle Br.

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«Azzolini era già da allora ben noto agli inquirenti, sapevano della sua presenza in quel drammatico conflitto, ma fu prosciolto nel 1987, - ricorda D'Alfonso - Questo passaggio fondamentale della Procura mira a revocare quella sentenza di proscioglimento, ciò non significa che è certamente lui l'assassino di mio padre, ma il fatto che sia stato posto sotto indagine è molto importante». «Devo ringraziare i magistrati torinesi che hanno lavorato e stanno lavorando intensamente su quanto ho prospettato io nel novembre del 2021, grazie anche al libro-ainchiesta sulla vicenda, io sono fiducioso ma è solo un primo passo e ci sono altri che sanno esattamente come andarono le cose. Confido nella Procura e continuo la mia battaglia, lo devo per la memoria di mio padre».

Renato Curcio, uno dei fondatori delle Br, che ora ha 81 anni, interrogato a Roma, ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto o indiretto nella vicenda della cascina Spiotta e, anzi, ha chiesto agli inquirenti di chiarire le circostanze della morte di Mara Cagol ricordando che la donna fu trafitta da un proiettile che aveva una traiettoria orizzontale sotto l'ascella sinistra, come se avesse le braccia alzate in segno di resa. Inizialmente Curcio era stato convocato in veste di testimone assistito - come almeno una decina di ex brigatisti prima di lui - ma poi, a pochi giorni dall'audizione, era stato formalmente indagato per concorso nell'omicidio del carabiniere D'Alfonso. Alla cascina Spiotta il fondatore delle Br non c'era ma secondo gli inquirenti era una «figura apicale» delle Br e organizzò e pianificò nei dettagli il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della casa vinicola, avvenuto il 4 giugno 1975 e liberato il giorno dopo una sparatoria con i sequestratori. Curcio, in un memoriale consegnato ai pm, ha affermato che le Brigate Rosse non avevano 'esponenti apicali' ma erano organizzate a compartimenti stagni; lui del rapimento Gancia era all'oscuro - ha sostenuto - perché, essendo evaso dal carcere di Casale Monferrato pochi mesi prima, si era nascosto, aveva lasciato il Piemonte e aveva sospeso qualsiasi contatto con la 'Colonna torinesè. Ora torna in scena l'ex brigatista Lauro Azzolini, arrestato nel 1978 e poi condannato all'ergastolo per una serie di azioni terroristiche.