Tutti i colori della Cina

Storia e arte in una grande mostra all’Ex Aurum di Pescara.

E’ una delle più belle mostre che Pescara abbia da anni ospitato, «Melody of colors», «Melodia di colori costumi e ornamenti delle minoranze etniche della Cina», inaugurata a fine anno alla presenza dell’ambasciatore della Repubblica popolare cinese, nella sede espositiva dell’Ex Aurum, la mostra è aperta fino al 31 gennaio tutti i giorni. Vi si possono ammirare abiti e ornamenti che rappresentano alcune tra le più suggestive icone di una civiltà mitica nei secoli, remota dal resto del mondo e oggi balzata con prepotenza sulla scena internazionale, quale colosso economico. Aveva ragione Napoleone quando due secoli fa diceva: la Cina è un drago dormiente, che quando si sveglierà farà paura al mondo.

E se il rispetto dei diritti umani, la gestione del dissenso politico, il trattamento delle minoranze, l’apertura al mondo e a internet, e cioè, in sintesi, il rispetto della dignità della persona umana coi suoi corollari, danno oggi ragione alla profezia e inquietano, come si può non essere sedotti dagli abiti che descrivono la millenaria civiltà del Celeste Impero? Campeggiano, in mostra, assoluti capolavori, visti i quali è impossibile non riconciliarsi, almeno in parte, con tutta un’anima della storia e della cultura del mondo. E’ merito di Antonio Grimaldi aver portato qui la mostra, offrendo ai pescaresi e agli abruzzesi qualcosa di affascinante, dagli strepitosi broccati alle sete sottili come un soffio d’aria, dai ricami d’una raffinatezza che tende più alla criptazione della preziosità che alla sua ostentazione, dal simbolo, come il drago dalle zampe a cinque artigli che solo l’imperatore poteva portare sulle vesti, agli umili abiti delle etnie più povere, in una nazione vasta una volta e mezzo l’Europa, con un miliardo e 300 milioni di abitanti.

Queste coordinate spiegano la estrema varietà dei pezzi in mostra, che sono decine, gemmati da rami autonomi dal tronco principale della etnia Han. Ecco dunque gli abiti, semplici ed eleganti dei De’Ang, dei quali sopravvivono solo 18.000 persone, nel montuoso Yunnan; o dei Blang (92.000 persone), della stessa provincia, i cui accostamenti cromatici su fondo nero fanno invidia agli stilisti di oggi. Ecco i cromatismi alla Biagiotti degli Jino (21.000 persone), ecco i Missoni ante litteram dei Vah (400.000). Ecco gli abiti di montone rovesciato degli Oroqen dell’Heilogjiang (8000 superstiti!), pensati per conciliare semplicità, praticità ma anche rappresentatività, per chi li indossava nei gelidi inverni della Mongolia.

Ecco lo sfarzo del pezzo più strepitoso in mostra, il vestito dell’imperatore, tessuto nella tradizione della Manciuria con incredibile sfarzo di oro, argento e seta. E moltissimi altri indumenti. Né mancano gioielli e ornamenti, copricapi e calzature, sciarpe e cinture, pettorali e pendenti, pugnali e altri oggetti. Visitando la mostra, un aspetto stupisce e fa camminare la fantasia. Sono abiti, a volte vecchi di secoli e restaurati, lavorati con estrema attenzione fino al più piccolo particolare. E sono tutti ovviamente pezzi unici, prodotti da un’infinita disponibilità di tempo e pazienza, nonché di materiali preziosi, se destinati a vestire dignitari (perfino l’imperatore), oppure di materie povere, gestite con amorosa umiltà, quando si trattava di abiti popolari.

Melodia di Colori è dunque un trionfo di artigianalità per la nazione oggi sinonimo di produzione massificata a scapito della qualità. Come sono remoti questi antecedenti culturali dall’attuale contemporaneità della Cina! Com’è strano il chinese handmade che ha dominato per secoli, anzi per millenni laggiù! Altri interrogativi, ancora, vengono sollecitati dalla mostra. I committenti degli abiti più ricchi, ad esempio, disponevano di una manodopera specializzata. E’ evidente che i loro abiti derivavano da équipe operanti a lavorazioni ripartite: disegnatori e tessitori, cucitori e conciatori, decoratori e orafi, come gli argentieri che riducevano il metallo in lamine da applicare alle vesti, leggerissime, risonanti al minimo spostamento del corpo, affinché l’abito, oltre che visibile, fosse anche tintinnante, a gloria di chi lo indossava.

Questa considerazione conduce alla chiave di lettura ultima e forse più intima di Melody of Colors, che potrebbe sintetizzarsi nella locuzione: filosofia del vestire. Quando l’anima di un popolo si trasfonde negli abiti, umili o sfarzosi che siano; quando ciò che si indossa non serve solo a coprire, ma a trasmettere segnali plurimi, non si è più nel campo del solo vestiario, ma dei messaggi pensati per esprimere e rimarcare un’identità. Orari: la mostra si può visitare dal martedì al sabato, dalle 10 alle 13-13.30 e dalle 16 alle 19-19.30; la domenica, solo il pomeriggio, dalle 16 alle 19-19.30; la mostra è chiusa il lunedì; l’ingresso è gratuito. Info: al numero di telefono 339.8796786.