Un'abruzzese al Quirinale parla della ricerca

Studia le leucemie alla d'Annunzio, ieri la chietina Visone era ospite di Napolitano

CHIETI. «La gente che soffre deve sapere che non è sola». E' il tocco femminile che ammalia. Parentesi perfetta nell'esperienza al Quirinale di Rosa Visone, che ieri davanti al presidente Giorgio Napolitano e ad autorevoli esponenti del mondo politico e culturale italiano ha fatto sintesi della sua esperienza professionale, comune a tanti giovani riceratori italiani. Il tradizionale appuntamento voluto dall'Airc nella propria Giornata per la ricerca sul cancro con lei, testimonianza in rosa tra interlocutori istituzionali, ha indirettamente coinvolto l'Abruzzo.

Sì, perché la 34enne scienziata napoletana, dopo 8 anni trascorsi negli Stati Uniti all'Ohio State University di Columbus, è tornata, nel febbraio scorso, in Italia per fare ricerca con un finanziamento Airc a Chieti, al Cesi (Centro di scienze dell'invecchiamento) della fondazione dell'università d'Annunzio.

La ricerca, che porta avanti affiancata dal marito Angelo Veronese, riguarda la leucemia linfatica cronica. Sembra che la progressione della malattia coinvolga i micro Rna scoperti negli ultimi anni come marcatori tumorali e che giocano un ruolo importante nella regolazione dell'espressione genica.

«Questo non è un lavoro, è uno stile di vita», racconta Rosa Visone al Centro, «che riunisce in sè passione, hobby, famiglia, missione e spirito di sacrificio. Impegno tutta me stessa e come me tanti colleghi spendono in pratica la propria vita per la ricerca, facendoci ruotare tutto intorno».

Al Quirinale è stata l'unica donna a testimoniare la ricerca, cosa ha provato?
«E' stato un onore essere lì e comunque io rappresentavo i giovani ricercatori, che si impegnano in questo lavoro, e ho vissuto per questo il momento in maniera impersonale, cercando di fare sintesi di sensazioni ed esperienze comuni. Sono stata felice quando gli altri miei colleghi dello start-up (programma di ricerca finanziato da Airc, ndc) mi hanno ringraziata per le parole dette».

Cosa la spinge a fare ricerca?
«Ho il privilegio di fare un lavoro che mi piace ma la spinta nasce dalla mia innata curiosità, che mi porta a voler comprendere cosa c'è che non funziona nelle cellule tumorali, e dal desiderio di aiutare la gente che soffre, i malati e i loro familiari. Devono sapere che non sono soli. Dietro di loro, infatti, c'è chi dedica tutto se stesso a cercare di capire il cancro, individuare nuove strategie per affrontarlo e per curarlo sempre meglio».

Che cosa studia al Cesi?
«Cerco di studiare il coinvolgimento dei micro Rna nella progressione della leucemia linfatica cronica, non solo come marcatori diagnostici, quindi per predire quando la malattia diventerà aggressiva, ma anche per il loro ruolo funzionale, ossia su cosa fanno all'interno della cellula e cosa la fa passare da indolente ad aggressiva».

Chieti è un buon luogo per fare ricerca?
«Di certo ci sono attrezzature adeguate per la mia ricerca».

Che cosa si può fare in Italia di più per incoraggiare la ricerca e soprattutto i giovani ricercatori?
«Basta che vengano a contatto con la ricerca, se hanno passione troveranno da soli i mezzi e le soluzioni per portare avanti le proprie intuizioni scientifiche».

Da un anno è diventata mamma. E' cambiato qualcosa nel suo approccio alla ricerca?
«No. Assolutamente no».

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