A destra, Luca Sacchi e la fidanzata Anastasia. Al centro, Paolo Pirino, a sinistra Valerio del Grosso

TURNO DI NOTTE

La «cavolata» di uccidere un uomo

«Ho fatto una cavolata». Così Valerio Del Grosso ha definito l’assassinio di Luca Sacchi, il giovane originario di Montereale in Abruzzo, ucciso con un colpo di rivoltella, tre giorni fa a Roma. A premere il grilletto sarebbe stato lui, Del Grosso, 21 anni, tre meno della sua vittima. «Siamo andati lì perché volevamo rapinare lo zainetto», ha raccontato lui. «Poi quel ragazzo ha reagito e io ho estratto la pistola e ho sparato e l'ho visto cadere a terra. Non volevo ucciderlo, ma solo spaventarlo». Sembra un giovane come tanti altri, l’autore della «cavolata». «Parlo un italiano corretto», ha detto dopo l’arresto, «mentre i miei amici di borgata parlano in romanesco. So cucinare bene, mi occupo di piatti molecolari. Ho lavorato in alcuni ristoranti, so fare bei piatti». Leggendo queste parole ti assale un senso di irrealtà. O meglio, il senso di una nuova realtà, quella smaterializzata del mondo digitale in cui le nuove generazioni crescono. Quella, per esempio, dei social in cui tutto è emendabile, un mondo incorporeo in cui le cose e le parole non pesano. Una realtà malleabile come la plastilina della nostra infanzia in cui ogni atto è pensato come revocabile, in cui anche togliere la vita è una cavolata, uno sbaglio che si può correggere confidando nella benevola distrazione dell’algoritmo, la nostra nuova, incorporea divinità.
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