Adriano Panatta, racchette di legno

TURNO DI NOTTE

Panatta e la nostalgia dei naufraghi

«Il tennis è una musica che i tennisti di questa generazione, nati con le racchette di carbonio in mano, non hanno mai sentito». Adriano Panatta è tutto meno che un sentimentale. Il grande tennista italiano degli anni Settanta viene meno al suo disincanto romano solo quando parla della passione della sua vita. Lo ha fatto alla sua maniera rispondendo alle domande dello scrittore Fulvio Abbate in un’intervista pubblicata sul sito Huffpost Italia. Parlando dei tennisti di oggi, Panatta dice: «Cosa vuoi che ne sappiano del pof pof, dell’ammorbidire il dritto, di un bel servizio in slice a uscire seguito a rete da una soffice volée, della poesia del tennis giocato con le racchette di legno?». Se dovesse provare nostalgia, in quali giorni o stagioni tornerebbe?, gli chiede Abate. «Non ho nostalgia per nulla, devo deluderla», taglia corto Panatta. Chissà se vero. La nostalgia è una tentazione alla quale è difficile resistere se si pensa al tennis romantico di cui parla Panatta e al mondo in cui quei «pof pof» risuonavano. Il passato, si sa, è un paese straniero dove le cose accadono in maniera diversa, ma a quel (falso o vero) paradiso perduto continuiamo a guardare un po’ tutti, come naufraghi su un’isola deserta, incapaci di abbandonare la speranza del ritorno a casa.
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