Philip Roth (Blog di Cultura)

TURNO DI NOTTE

Roth e l’arte di non giudicare gli altri

Quando muore un grande scrittore la retorica impone le sue leggi, una delle quali recita così: da oggi il mondo è più povero. Capita, però, che quella sottrazione di senso sia reale. È questo il caso di Philip Roth, il grande scrittore americano morto ieri all’età di 85 anni. Roth ha scandagliato il cuore del ’900, con storie locali nell’ambientazione ma universali nei temi: il sesso, la morte, il dominio incontrollato del caso sulla nostra vita. I romanzi della cosiddetta Trilogia americana (Pastorale americana, Ho sposato un comunista, La macchia umana) tracciano un diagramma psichico accurato di chi ha avuto la ventura di vivere nel Secolo breve. Le storie condensate in quei tre romanzi sono narrate da un personaggio silenzioso, Nathan Zuckerman, che fu loquacissimo e picaresco protagonista di precedenti libri di Roth. Zuckerman, nella Trilogia, ascolta e racconta. Il suo silenzio è pieno di parole, quelle dei racconti con i quali noi tutti cerchiamo di decifrare l’insensatezza del mondo. Racconta ma non giudica, Zuckerman. La sua è un’arte che va scomparendo: la capacità, cioè, di guardare alle vite degli altri senza contaminarle con il veleno del nostro giudizio. É un dono, questo, di cui dovremmo fare tesoro, come uno dei lasciti più preziosi dell’arte di Roth sulla quale, ieri, è sceso un sipario tutt’altro che definitivo.
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