Diritto di fuga, l’editoriale del direttore sulla riforma Nordio

Le nuove norme hanno l’effetto di dividere i colpevoli in due categorie: quelli che provano a salvarsi nel processo e quelli che si salvano scappando
CHIETI. Ha ragione la splendida e coraggiosa signora di cui non possiamo fare il nome perché dobbiamo proteggerla da qualsiasi potenziale rappresaglia (è una funzionaria della pubblica amministrazione in pensione) quando dice, nell’odierna intervista esclusiva al nostro Gianluca Lettieri: «Io non mi sento protetta dallo Stato». Il tema è che neanche noi lo siamo più. E che persino le forze dell’ordine e la magistratura si ritrovano ostacolate nella loro azione, dopo il pasticcio che il ministro Nordio ha incautamente voluto battezzare con il suo nome. Il punto è la sostanza di questa riforma: i ministri, partiti dal proclama lodevolissimo di fare una riforma a garanzia dei diritti della difesa, si sono ritrovati a far votare alla loro maggioranza una riforma che dà “garanzia alla fuga”. Partiti con l’annuncio di voler tutelare gli innocenti – dunque – sono finiti a proteggere i delinquenti.
Possibile? Possibile, a partire dall’invereconda vicenda di Chieti, che spiega in modo perfetto i buchi della nuova legge: dopo un’impeccabile indagine che aveva identificato e rintracciato (con grande rapidità) i rapinatori colpevoli di aver scippato una anziana signora, le nuove norme hanno vanificato con chirurgica precisione questo sforzo. Infatti, giunti al momento della richiesta di arresti – come abbiamo raccontato ieri – gli inquirenti hanno dovuto applicare la norma demenziale e notificare agli indagati l’imminenza dell’interrogatorio e il rischio del carcere.
La nuova regola detta anche dei tempi rigorosi. Prendiamo questo caso? A un ladro identificato con le telecamere bisognava comunicare, ed è stato comunicato: preparati, vieni a farti interrogare, perché tra cinque giorni forse ti arrestiamo. Idea davvero geniale, quella per cui il ministro si è battuto: a Chieti i tre indagati per il borseggio, appena appreso della loro “convocazione”, si sono dileguati nel nulla per scampare al possibile arresto. La riforma che nelle intenzioni del ministro avrebbe dovuto tutelare le garanzie, dunque, in questo mondo, è diventata una ingegnosa fabbrica di latitanti: infatti, se sono un criminale e mi dicono che mi vogliono arrestare, scappo.
Ecco perché le nuove norme hanno l’effetto di dividere i colpevoli (è meno probabile che un innocente scappi) in due categorie: quelli che provano a salvarsi nel processo – e questo almeno è un loro diritto – e quelli che si salvano fuggendo. Inutile dire che quelli che non hanno nulla da perdere, i più pericolosi, sono quelli che scappano subito. Ma oltre il diritto alla fuga, la riforma ha pensato bene di concedere altri aiuti. Ad esempio le intercettazioni limitate. E poi addirittura un’altra perla, l’annuncio preventivo della perquisizione: così uno ha due ore di tempo per far sparire le prove dal suo domicilio.
Voi direte: ma si sono proprio rincitrulliti o sono ammattiti? Nessuna delle due, temo: hanno pensato una riforma per garantire i colletti bianchi. Quindi i politici, gli ex politici senza più scudi di immunità, qualche notabile, gli imprenditori che talvolta finiscono collusi, i funzionari della pubblica amministrazione che si macchiano di diversi illeciti. Tutti i potenziali corrotti di ogni ordine e grado. Di questi non scappa più nessuno: ricevono l’aiutino da casa, per poter uscire immacolati dal processo. Perché dovrebbero darsi alla macchia? Hanno soldi, disponibilità, buoni avvocati. I legislatori avevano in mente questo target, ed erano così accecati dall’urgenza di dare loro un salvacondotto, dal non capire che così facendo avrebbero sottratto alla giustizia tutti gli altri. Se si vuole ridare dignità al lavoro di magistrati e forze dell’ordine c’è un solo rimedio: avere l’umiltà di capire l’orribile effetto di questa riformetta salva-delinquenti e cancellarla al più presto.
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