La bresaola di Lollo

L’editoriale del direttore Luca Telese: «Il ministro della sovranità alimentare questa volta si è esercitato in un salto mortale carpiato e triplo, con una dichiarazione-choc che colpisce contemporaneamente sui dazi, sulla bresaola e sul Made in Italy»
Provaci ancora Sam, e il ministro Lollobrigida ha colpito ancora. Il ministro della sovranità alimentare questa volta si è esercitato in un salto mortale carpiato e triplo, con una dichiarazione-choc che colpisce contemporaneamente sui dazi, sulla bresaola e sul Made in Italy. Ecco la sua nuova perla: «La bresaola che vendiamo negli Stati Uniti potrebbe essere anche fatta con carne statunitense, quindi con le regole che riguardano il loro modello produttivo». Non solo: «Questo» – aggiunge Lollobrigida – «è un modello virtuoso che tiene conto delle ragioni dei nostri imprenditori ma delle ragioni anche degli altri che, rispetto a 8 miliardi di esportazioni italiane nell’agroalimentare, esportano verso l’Italia meno di 1,7 miliardi». Uno sbilanciamento, aggiunge il ministro, che «li mette in sofferenza e li induce a ricorrere a una scelta tariffaria che non condividiamo ma che comprendiamo». Infine l’ultima gemma, stavolta sulla soia: «Ne compriamo in quantità enorme da Argentina, Brasile e Usa. La percentuale che acquistiamo dagli Stati Uniti è un sesto di quella da Paesi importanti ma meno interessanti per noi come mercato. Se noi diamo segnali e compriamo soia – spiega Lollobrigida – riusciamo, anche pagandola leggermente di più, a indurre gli Stai Uniti a riflettere sul fatto che la soia ci serve per l’allevamento per esempio delle vacche; queste danno latte che fare parmigiano e il prodotto potrebbe tornare senza avere dazi». A chiusa di tutto il suo ragionamento sulla bresaola e sui dazi il ministro osserva: «La bresaola degli Stati Uniti potrebbe essere anche fatta con carne statunitense, quindi con le regole che riguardano il loro modello alimentare, io – ha sottolineato Lollobrigida – lo sconsiglio». Adesso, escludendo che il ministro abbia avuto un colpo di sole, bisogna prenderlo sul serio e provare a capire bene la sua “provocazione”, il suo ragionamento, ma anche la gravità della sua gaffe. Lollobrigida, che paradossalmente porta inscritto persino nel nome del suo stesso ministero l’appello per la difesa della produzione nazionale, è – in realtà – così subalterno all’egemonia culturale di Trump che fa un discorso da perfetto “collaborazionista” (altro che sovranista!) alimentare. E il ministro ci dice, sia sulla soia che sulla bresaola: poveri Stati Uniti, la loro bilancia commerciale è così sbilanciata nei nostri confronti, che bisogna capirli. Lo sbilancio non è più il frutto del talento italiano, del genio commerciale delle nostre imprese, della bontà dei nostri prodotti, ma di una sorta di senso di colpa per la forza del nostro export, che il ministro ha, per così dire, introiettato. Così, da questa subalternità politica, che subito dopo diventa anche subalternità culturale, nasce la proposta folle. L’auto-mutilazione del prodotto. Facciamone uno meno bello, meno buono, ma che in questo modo soddisfi il nuovo padrone del mondo: nasce l’auto-“italian sounding”. L’Italia, in sintesi, dopo venti anni di lotta e chiacchiere sul Parmesan e i mille cloni alimentari che ci rovinano il mercato, alza bandiera bianca e per sfuggire alla guerra dei dazi dell’alleato, si fa il clone da solo. Geniale. Non contento, il ministro se ne va prostrato dal gigante americano dichiarando questo intento: ma guarda, io sono disposto a comprare della soia da te, anche pagandola di più del valore di mercato, se poi tu mi riconosci il fatto che io con quella soia ci sfamo le bestie degli allevamenti da cui si produce il latte con cui si fa il nostro formaggio, che così potrebbe aver uno sconto sul dazio, perché è un po’ anche figlio vostro. Io credo di non aver mai sentito un ragionamento così strampalato e sottomesso. E qui c’è l’ultimo anello che riguarda la contorta lingua a cui abitualmente ricorre il nostro ministro, che gioca sempre con il paradosso senza avere però il controllo del vocabolario. E che quindi fa con le parole danni più grandi che con le sue scelte politiche. Molto ancora ricordano le sortite del ministro sulla siccità che «per fortuna aveva colpito le regioni del Sud», le interviste sulla «sostituzione etnica» che però «non sapevo che fosse una teoria», la geniale autodifesa sul treno fermato per scendere chiamando i dirigenti di Trenitalia: «Ho fatto quello che qualsiasi italiano può fare». La bresaola tu vo’ fa l’Americano, dunque, la bresaola Carosone è solo la più recente delle gaffe (e siamo certi che non sarà l’ultima). Ma stavolta il contenuto è più grave della forma. Perché cosa impedirebbe, una volta realizzato questo prodotto Frankenstein di carni americane e ricetta italiana sulla bresaola, di fare lo stesso con tutti i nostri prodotti? Possiamo fare il Brunello di Montalcino ai solfiti, il Montepulciano d’Abruzzo californiano, il Sassicaia-Tavernello del Texas, il Pecorino del Massachusetts? E perché non fare il Parmigiano americano, che fa pure rima? Speriamo che qualcuno – magari la Meloni – fermi Lollo prima che trasformi Fratelli d’Italia in Fratelli di Trump. Usando, rigorosamente, solo cervelli americani. Così potremo sperare (almeno) di contenere i danni.