L’analista Andrew Spannaus: «L’Ue soffoca lo sviluppo, regole fuori dalla realtà»

25 Settembre 2025

Il professore interviene oggi all’Abruzzo Economy Summit: «L’Occidente deve diventare più indipendente, o meglio ancora, resiliente»

PESCARA. Inizia oggi la quinta edizione dell’Abruzzo Economy Summit, in programma all’Aurum. Vanno in scena gli Stati generali dell’economia, organizzati dalla Mirus di Michele Russo e promossi dalla Regione Abruzzo, occasione per fare il punto su temi che spaziano da economia e geopolitica a intelligenza artificiale, energia, infrastrutture e molto altro. Tra i relatori c’è il professor Andrew Spannaus, giornalista, scrittore e analista politico americano, docente presso l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica di Milano e più volte consigliere delegato dell’Associazione Stampa Estera di Milano. Conduce, con Alessandro Milan, il podcast originale di Radio 24 That’s America – Dietro le quinte degli Stati Uniti. È fondatore della newsletter Transatlantico.info.

Spannaus terrà un intervento dal titolo Il nuovo paradigma economico americano: conseguenze mondiali, con cui offrirà la sua lettura delle trasformazioni in corso. Attento osservatore della politica statunitense e delle dinamiche globali, è stato tra i primi a cogliere l’ascesa della rivolta populista negli Stati Uniti e in Europa e proprio da qui partiamo raggiungendolo al telefono.

Professor Spannaus, nel 2016 lei scriveva il libro ‘Perché vince Trump?’. Dopo nove anni cosa è cambiato? Perché vince ancora?

«La globalizzazione ha creato le condizioni che gli hanno permesso di diventare presidente, ma oggi bisogna enfatizzare il grande intreccio tra questioni economiche e culturali che ha portato alla polarizzazione e la seconda elezione di Trump».

Cioè?

«Il grande cambiamento della politica economica ha impoverito la classe media. A questo si è aggiunta una visione culturale anti-élite e anti-globalista, sfruttata per creare divisioni. Tutto ciò rende più difficile risolvere le crisi politiche e sociali».

Trump ha imposto da subito i dazi, come una sorta di risarcimento da prelevare dai partner europei. È solo questo o c’è dell’altro dietro questa mossa?

«È vero che Trump vede i dazi come una “retribuzione” per lo sfruttamento delle politiche americane da parte di altri paesi. In realtà, c’è un’impostazione più nobile che appartiene alla storia americana e che lui non comprende fino in fondo».

Può spiegarci meglio?

«I dazi sono stati fondamentali per la storia americana. Io insegno in Università Cattolica “Protezionismo e libero scambio” e nell’Ottocento questi strumenti permisero di creare una solida base manifatturiera negli Stati Uniti. Allora c’era un approccio olistico: si studiava dove e come applicare protezione e dove invece investire. Trump li usa in modo superficiale, come una clava che spesso produce effetti contrari».

L’Abruzzo, l’Italia e l’Europa, dentro al vortice dei dazi: come se ne esce?

«Italia ed Europa hanno puntato troppo sull’export, sacrificando gli investimenti interni. Per anni si è scelto di comprimere i salari per conquistare mercati internazionali. È evidente che non può durare. Bisogna riequilibrare e serve una nuova visione per il futuro dell’Europa e dell’Italia».

In che direzione?

«I trattati europei sono stati scritti e pensati per l’epoca della globalizzazione. Impongono regole rigide sul ruolo pubblico che soffocano gli investimenti e lo sviluppo. Le regole sul debito sono decise sulla carta, ma spesso non hanno ancoraggi nella realtà».

In questa epoca di sconvolgimenti geopolitici ci troviamo tutti intrecciati economicamente e questo porta a dire “la guerra non conviene a nessuno”. È davvero così?

«Non proprio. Gli Stati Uniti continuano a comprare materie prime dalla Russia e il gas passa ancora dall’Ucraina. La teoria della globalizzazione diceva: più siamo vicini economicamente, più siamo lontani dal conflitto. In parte è stato vero, basti pensare al mercato unico europeo. Ma non può essere solo una questione economica. La Cina sembrava integrata, poi ci sono stati passi indietro. I rischi di una guerra restano enormi».

Ad esempio?

«I dazi punitivi di Trump contro la Cina hanno provocato un piccolo terremoto per l’economia americana. L’Occidente deve diventare più indipendente, o, per usare il termine di moda, resiliente».

Questo periodo di de-globalizzazione e populismo dove porterà l'occidente?

«La risposta è diversa se guardiamo agli Stati Uniti o all’Europa. Negli Usa Trump è andato oltre il populismo tradizionale: si sente legittimato a fare qualsiasi cosa sul piano politico e sociale. Ma a livello economico è meno efficace, perché manca progettualità».

E i democratici? Dove si sono addormentati?

«Non dormono. Negli Usa in questi mesi ci sono state manifestazioni di milioni di persone. Il problema è l’unità del partito: come creare un messaggio unificato da portare agli elettori. Una parte vuole resistere frontalmente, un’altra preferisce atteggiamenti più moderati per non essere bollata di estremismo».

C’è una soluzione?

«Si! Ma ve la esporrò quando mi candiderò alla presidenza».

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