10 dicembre

Oggi, ma nel 1992, a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, alle 9, nella sua abitazione, nella centrale piazza Giacomo Matteotti, Gabriella Borchi, di 43 anni, verosimilmente in preda a raptus di follia, uccideva con tre coltellate il figlio Lorenzo Guerrini, di 5, poi si suicidava tagliandosi le vene con una lametta, ingerendo un ingente quantitativo di barbiturici e bevendo acido muriatico. I fendenti letali al piccolo Lorenzo erano assestati al torace, al fianco, alla schiena. Il primo colpo, con un coltello da cucina, glielo infliggeva mentre dormiva. La donna aveva anche cercato, non riuscendoci, di pugnalarsi all’addome. Lasciava il marito, Altero Guerrini, titolare di un negozio di materiale fotografico nel capoluogo toscano, e la figlia Elena, di 14 anni. Gabriella Borchi aveva avuto una rivendita di generi alimentari sotto casa, ma l’aveva chiusa, quando stava per partorire Lorenzo, per dedicarsi a lui a tempo pieno. Nell’alloggio c’era anche la madre di lei, Derna, ottuagenaria, che era immobilizzata dal luglio scorso sulla sedia a rotelle a causa della frattura del femore. Ad allarmarsi era stato per primo Altero Guerrini, che aveva telefonato alle 9.30 per spiegare alla moglie che Elena non fosse entrata a scuola per via dello sciopero e che quindi fosse rimasta con lui in bottega, ma non aveva avuto risposta dall'altro lato della cornetta dopo molti squilli andati a vuoto. La Borchi veniva rinvenuta, da una parente allertata dal marito che era residente a poca distanza e in possesso delle chiavi della palazzina, ancora in vita, benché rantolante. Veniva trasportata nell’ospedale di Careggi in coma e spirerà alle 17 dopo l’intervento chirurgico che verrà tentato come rimedio estremo. Il fatto di sangue, comunque, destava enorme clamore (nella foto, particolare, la notizia riportata dal quotidiano comunista “l’Unità”, nell’edizione del giorno successivo, 11 dicembre 1992) non solo nel circondario. Anche per la particolare efferatezza dell’esecuzione. Apparentemente quella dei coniugi Guerrini, con i loro eredi, sembrava un’esistenza tranquilla, persino affiatata. Senza particolari problemi economici. Almeno stando al resoconto dei vicini e dei conoscenti. Lei, pur manifestando un attaccamento morboso al bambino, anche quando doveva portarlo nell'asilo gestito dalle suore, non aveva dato precedenti segni d’instabilità emotiva. Né avvisaglie di depressione, tantomeno di squilibrio mentale. Evidentemente la situazione non era così. Dal punto di vista della risonanza mediatica, con la copertura televisiva molto accentuata anche durante il tortuoso iter processuale, su tutti il più tristemente celebre dei casi analoghi sarà quello che si verificherà a Montroz di Cogne, in quel di Aosta, il 30 gennaio 2002. Ovvero quello che annovererà Annamaria Franzoni quale supposta assassina del figlioletto Samuele Lorenzi, di 3 anni, apparentemente senza una spiegazione logica. E che le farà rimediare la condanna, in via definitiva dopo il passaggio in Corte di cassazione, del 21 maggio 2008, a 16 anni di reclusione. Pena che poi verrà ridotta sensibilmente per indulto e per buona condotta. Infatti il 7 febbraio 2019 verrà diffusa dagli organi d'informazione la notizia dell'avvenuta scarcerazione anzitempo della Franzoni.
