11 dicembre

Oggi, ma nel 1942, ad Algeri, in Algeria, nella rada, dieci uomini gamma della 10ª flottiglia Mas, unità speciale della regia Marina Militare italiana, a bordo del sommergibile modificato “Ambra”, sotto il comando del capitano di corvetta Mario Arillo, spezzino di 30 anni, con l’impiego di tre Siluri a lenta corsa, mettevano a segno l’operazione “N.A.1”. Affondavano due mercantili al servizio della Royal Navy “Ocean Vanquisher”, da 7.174 tonnellate di stazza, e “Berto”, da 1.493, e ne danneggiavano altri due, “Empire Centaur”, da 7.014, e “Harmattan”, da 6.587. E recuperavano così anche l’insuccesso nel porto di Alessandria d’Egitto, dell’azione “G.A.4”, del 14 maggio 1942, sempre della Decima agli ordini del “principe nero”, il capitano di corvetta Junio Valerio Borghese.
Che, occorre precisarlo, era quella istituita il 23 aprile 1939 guidata dal comandante di fregata Paolo Aloisi e in attività fino all’8 settembre 1943, quindi sempre nel contesto del secondo conflitto mondiale combattuto via mare, ma antecedente il passaggio come “corpo franco” e poi operante, anche in spedizioni di terra come divisione di “fanti da mar”, come Xª, sotto le insegne di guerra della Marina della Repubblica sociale italiana, dal 14 settembre 1943 al 26 aprile 1945. L’assalto algerino era coadiuvato come “civetta” dal tenente di vascello Augusto Jacobacci, vicentino di 25 anni, che a causa delle cattive condizioni meteo, dell’ecoscandaglio fuori uso, e della scarsità d’informazioni guidava, dalla garitta, gli operatori sui “maiali” mediante una sorta di telefono galleggiante.
Ed era aiutato da Armando Battaglia, secondo capo torpediniere. Quindici componenti della missione, inclusi i dieci sabotatori subacquei Gamma venivano catturati dai britannici. Erano: Agostino Morelli, tenente delle Armi navali; Oreste Botti, secondo capo infermiere; Giuseppe Feroldi, sottocapo palombaro; Luigi Rolfini, sergente dei Granatieri; Alberto Evangelisti, sergente dei Bersaglieri; Evideo Boscolo, sottocapo cannoniere; Rodolfo Lugano, fuochista; Giovanni Lucchetti, marinaio sommozzatore; Luciano Luciani, fante; Gaspare Ghiglione, altro sergente dei Bersaglieri. Erano scesi sul fondo muniti di Autorespiratore ad ossigeno “Aro” ed erano stati addestrati a Livorno dal capitano di corvetta Angelo Belloni, pavese di 60 anni, ideatore del cosiddetto “Vestito Belloni”, la prima muta stagna, appositamente richiamato in servizio allo scoppio del conflitto per le sue abilità di sommozzatore.
Gli altri cinque prigionieri erano Giorgio Badessi, Ferdinando Cocchi, Guido Arena, Giorgio Reggiolo, Colombo Pamolli. Ad eccezione di Arillo (nella foto, particolare, mentre fuoriesce dal portellone nello scatto proveniente dall’archivio storico della Marina militare), invece, riusciva a strisciare sul fondale a soli 18 metri di profondità, rischiando d’incagliarsi e d’essere scoperto, e a riemergere dopo 36 ore, nonostante la collisione con un relitto, riportando incolume il suo “Ambra”, varato il 28 maggio 1936, a La Spezia, il 15 dicembre successivo. Con lui a bordo c'erano anche: Salvatore Vassallo, tenente di vascello e secondo nella catena di comando; Luciano Barca, ufficiale di rotta; Mario Donati, secondo capo motorista. Il 28 marzo 1943 Arillo verrà insignito della medaglia d’oro al valor militare.
