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13 ottobre

Oggi, ma nel 1815, a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia, nel castello, veniva fucilato, a 48 anni, l’ex re di Napoli, sul trono dall’1 agosto 1808 al 22 maggio 1815, Gioacchino Murat (nella foto, particolare dell’esecuzione, da incisione realizzata dal partenopeo Edoardo Matania, nel 1886), generale francese, già maresciallo dell’impero con Napoleone Bonaparte, del quale aveva sposato la sorella minore Carolina. La scarica di piombo, decisa da Ferdinando IV di Borbone, tornato a regnare sotto il Vesuvio, veniva fatta partire per punire l’azzardato atto rivoluzionario murattiano. Ossia per aver tradito Napoleone e la Francia, garantendo i suoi servigi all’Austria, a patto che quest’ultima potenza avesse provveduto a salvare il regno di Napoli dalla ventilata ipotesi di restaurazione borbonica.

Dichiarato colpevole di incitamento alla guerra civile e di attacco armato al legittimo sovrano, da un tribunale di ufficiali che lui stesso aveva provveduto in precedenza a promuovere di grado, Murat, dopo aver trascorso il periodo dall’8 ottobre, data del suo sbarco a Pizzo Calabro, proveniente dall’Isola d’Elba, rinchiuso nella fortezza di Pizzo Calabro, aveva ricevuto i conforti religiosi. Aveva avuto anche l’opportunità di scrivere una toccante lettera d’addio indirizzata alla moglie e ai quattro figli, Napoleone Achille, Letizia, Napoleone Luciano, Luisa, ai quali lasciava ciocche dei suoi capelli. Quindi Il condannato alla massima pena prevista dallo stesso codice da lui stesso promulgato preferiva affrontare la raffica di proiettili senza essere bendato, rivolgendo la iconica raccomandazione ai soldati che stavano per impallinarlo di mirare al cuore, risparmiando così il suo volto.

Con la fine di Murat si chiudeva, disastrosamente, annegata nel sangue, l’esperienza del dominio napoleonico nel Belpaese. Il sovrano borbonico, esultante per essere riuscito ad eliminare fisicamente il temuto rivale, riconoscerà a Pizzo Calabro il titolo di città "fedelissima". Ringrazierà il generale Vito Nunziante, governatore militare delle Calabrie, artefice della disfatta di Murat, assegnandogli, otto giorni dopo l’esecuzione capitale, il feudo e il titolo di marchese di San Ferdinando di Rosarno. Il corpo di Murat verrà seppellito in una fossa comune, nei sotterranei della chiesa matrice di Pizzo Calabro, consacrata a San Giorgio martire nel 1587. Santuario nel quale la lapide funeraria, posta sul pavimento, al centro della navata, ne onorerà la memoria del suo trascorso da re dopo l’ascesa, partita dall’essere ultimo di undici figli di una coppia di umili locandieri di Labastide-Fortunière.