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18 Aprile

Oggi, ma nel 1943, a Palermo, in piazza Sett'angeli, tra la cattedrale normanna dedicata alla Santa vergine Maria Assunta e il convitto nazionale Vittorio Emanuele II, sotto i resti della domus romana ancora visibili, una bomba, a scoppio ritardato di 0.25 secondi, sganciata da uno degli aerei degli angloamericani, sfondava il manto stradale, composto da selciatone, sabbia e terra compattata, esplodendo proprio dentro il rifugio antiaereo pubblico sottostante, considerato tra i più sicuri del capoluogo siciliano, particolarmente bersagliato dagli attacchi dall'alto. Il soffitto, alto 2,40 metri non aveva intelaiatura in ferro, perché il metallo pesante era necessario per costruire armamenti e non si poteva impiegare più nell'edilizia di fortuna. Un analogo ricovero pubblico anti bombe era dislocato sotto piazza Pretoria. Quello sottostante il cortile del monastero dell’Assunta, in via Maqueda, era in grado di accogliere anche 2mila sfollati. Erano stati messi a punto, a partire dal 1935, su indicazione del Comitato provinciale antiaereo. In quello di piazza Sett'angeli dallo scoppio ne scaturiva una carneficina: anche se il computo ufficiale dei morti risulterà di 30, in realtà le vittime effettive non verranno mai conteggiate. La struttura poteva ospitare 300 persone e in situazioni di emergenza, quando la sirena antiaerea era in funzione, si verificava il massimo assembramento che non teneva conto del rispetto di 0,5 metri a testa di spazio vitale. I cadaveri rimarranno sepolti sotto le macerie (nella foto, civili e militari mentre scavavano per tentare di estrarre qualche altro corpo) e dopo il rientro dell'allarme anti caccia verrà scaricata una colata di cemento, a sigillare il grande tunnel. La forza distruttiva piovuta dal cielo era destinata a radere al suolo la cattedrale, cercando di arrecare un danno ad uno dei simboli architettonici, religiosi e culturali di Palermo e dei palermitani. L'episodio verrà seguito da quello del 9 maggio successivo, giorno del raid compiuto da 413 aerei americani e britannici, in 12 ondate, che lasceranno piombare sul suolo cittadino 449 tonnellate di ordigni, che provocheranno 341 decessi. Accadimenti che verranno ricostruiti dagli studiosi Wilfrid Rothier e Samuel Romeo. La piazza devastata dalla deflagrazione prendeva il nome dal dipinto, rinvenuto, nel 1516, nella antecedente edificazione di culto che sorgeva nello stesso posto e raffigurante i sette principi celesti, ossia: Michele, il vittorioso, in atto di calpestare il dragone; Gabriele, il nunzio, con specchio di diaspro e fiaccola; Barachiele, colui che viene in aiuto, con rose da distribuire; Uriele, il forte, con spada e fiamma; Raffaele, il medico, colto nell'atto di guidare Tobia e portare un vaso di medicinali; Geudiele, il remuneratore, con una corona e un flagello; Sealtiele, l'orante, raccolto in preghiera.

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