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19 febbraio

Oggi, ma nel 1937, ad Addis Abeba, nell’Etiopia italiana, Abraham Deboch e Mogus Asghedom, due componenti della resistenza locale, aiutati dal complice Semeon Adefres, tentavano di assassinare, mediante lancio di 18 bombe a mano di tipo Breda, il viceré Rodolfo Graziani.

Nell’attacco avevano cercato anche di colpire le autorità italiane presenti durante la cerimonia nel recinto del Piccolo Ghebì del palazzo Guennet Leul, residenza imperiale. La deflagrazione dei due ordigni uccidevano sette persone e ne ferivano cinquanta. Tra questi ultimi si contavano lo stesso Graziani, figura controversa, che veniva investito da 350 schegge (nella foto, particolare, mentre mostrava la gamba destra martoriata dalle granate, nell'iconico scatto che farà il giro dei media non solo del Belpaese) e che verrà operato nell’ospedale della Italica gens per fermare l’emorragia, il suo vice Arnaldo Petretti, il governatore cittadino Alfredo Siniscalchi, l’abuna Cirillo, arcivescovo della chiesa ortodossa etiopica, i generali Aurelio Liotta, che materialmente si lanciava salvando la vita a Graziani e che nel suo gesto perdeva l’occhio e la gamba destra, e Italo Gariboldi, i giornalisti Mario Appelius, corrispondente di guerra del Popolo d’Italia, Italo Papini, articolista della rivista Affrica, Ciro Poggiali, inviato del Corriere della Sera. Il federale Guido Cortese, mentre Graziani rimarrà ricoverato in sanatorio, per 68 giorni, ordinerà la rappresaglia che, il giorno dopo e il 21 febbraio, costerà la vita a 6mila etiopi, prevalentemente civili. Anche se le fonti non verranno mai confermate e i dati iniziali produrranno la stima di 3mila vittime, successivamente la conta dei cadaveri raddoppierà.

La reazione sarà ben nota a Benito Mussolini che, da Roma, seguirà l’evoluzione degli eventi sfruttando l’accaduto per una ulteriore strigliata ad ampio raggio voluta "per dare una lezione agli abissini". La risposta violenta all’attentato del 19 febbraio 1937 si spingerà fino alla strage del convento copto di Debra Libanos, dove si rifugeranno rifugiati gli attentatori dopo l’azione dinamitarda. La mattanza voluta dagli italiani avverrà tra il 21 e il 29 maggio, con la fucilazione da parte dei militari al comando del generale Pietro Maletti, di 2mila monaci. Rimarrà una delle pagine più tristi dell’avventura italica d’oltremare. Il 14 dicembre 1955, ad Addis Abeba, verrà inaugurata la stele commemorativa in ricordo delle vite etiopi spezzate dalla sete di vendetta fascista.

Durante il governo guidato da Romano Prodi, dal 17 maggio 2006, verrà avanzata la proposta di legge per dedicare il 19 febbraio, in amarico Yekatit 12 del calendario etiope, a ricordare i crimini compiuti dagli italiani durante l’effimera esperienza di occupazione coloniale in Etiopia, ma il provvedimento non andrà avanti per la caduta dell’esecutivo, il 24 gennaio 2008.