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20 Gennaio

Oggi, ma nel 1999, a Como, nel quartiere Ponte Chiasso, veniva ucciso con sette coltellate all'addome, fuori dalla sua canonica, don Renzo Beretta, di 77 anni, prete di frontiera. A colpirlo mortalmente, per cercare di rubargli 60mila lire, era Lakhoitri Adidelhakim, cittadino marocchino senza permesso di soggiorno e già con foglio di via obbligatorio, di 32 anni, che il sacerdote aveva già aiutato diverse volte nella sua parrocchia. Alle grida della vittima, che aveva anche tentato di difendersi rompendo un ombrello in testa all'aggressore, era accorso il vicario della parrocchia, don Giovanni Meroni, che aveva riconosciuto l'assassino. Proprio grazie alla sua descrizione i carabinieri di Como potranno bloccare il killer a bordo di un autobus, mentre cercherà di scappare. Portato in caserma, il nordafricano confesserà l'omicidio, compiuto perché sentitosi discriminato in quanto islamico, e fornirà anche le indicazioni ai militari sul luogo dove aveva gettato il coltello da cucina utilizzato per compiere il delitto. Don Renzo Beretta, nell'ospedale cittadino Sant'Anna, dove l'anziano religioso era stato trasferito per tentare l'impossibile, verrà pianto dal suo diretto superiore, il vescovo Alessandro Maggiolini che vorrà ricordare l'impegno senza sosta e duraturo di don Beretta, che tra l'altro gestiva il centro di accoglienza e ascolto della Curia di Como, per aiutare gli ultimi (nella foto, particolare della prima pagina del "Corriere di Como", del 21 gennaio 1999, col titolo d'apertura che sottolineerà proprio lo sforzo costante del prete per soccorrere i disgraziati della zona). Don Beretta era nato proprio a Como, nel quartiere Camerlata. Il suo ministero pastorale l’aveva portato a servire, come vicario, a Livigno, in provincia di Sondrio, dal 1948 al 1953; a San Lorenzo di Mandello del Lario, in quel di Lecco, dal 1953 al 1956; in duomo, a Como, dal 1956 al 1963. Poi era stato assegnato, come parroco, a Solzago di Tavernerio, sempre nel comasco, dal 1963 al 1984, e quindi spostato a Ponte Chiasso di Como, in quel 1984, dove era rimasto fino alla morte. Lì aveva ospitato il primo profugo, di origine slava, nel 1986. Nel 1990 aveva creato, proprio accanto alla chiesa di Ponte Chiasso, il primo centro di accoglienza temporaneo che poi si sarebbe evoluto in una struttura stabile. Aveva insistito con le autorità municipali e religiose affinché venisse trasformata in realtà la sua intuizione, perché era stato tra i primi, nel circondario, a cogliere il dramma dei migranti che cercavano in ogni modo di varcare il confine con la Svizzera riponendo speranze in una vita meno precaria.

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