21 dicembre

Oggi, ma nel 1990, a Pescara, al civico 42 di corso Umberto I, fuori dalla gioielleria di Clelia Ciletti, storica concessionaria Rolex del capoluogo adriatico prima di Antonio Seta, uno dei tre rapinatori, camuffati da agenti della Guardia di Finanza impegnati in un controllo di routine dei registri contabili d’esercizio, uccideva con un colpo di pistola sparato al cuore l’orologiaio Antonio Lo Feudo, di 59 anni, che tentava d'opporsi alla ruberia. Era andato a riconsegnare dei segnatempo della casa svizzera col simbolo della corona appena revisionati. Con sprezzo del pericolo Lo Feudo (nella foto, particolare) s’avventava contro uno dei malviventi gettandolo a terra. Ma la mossa gli era fatale. Perché nonostante al bandito fosse caduto il caricatore riusciva comunque a far fuoco sfruttando il colpo in canna. Poi i tre fuorilegge fuggivano a piedi, lasciando il bottino, perché inseguiti da Augusto Bernardi, appuntato dei carabinieri in congedo e collaboratore della rivendita di preziosi, che rischiava seriamente d’essere la seconda vittima. La dovizia di particolari del fatto di sangue avvenuto dove successivamente aprirà S’Agapò sarà il giorno dopo nel resoconto di Francesco “Franco” Di Miero, caposervizio della redazione pescarese del giornale romano “Il Tempo”, nella sua veste di corrispondente di lungo corso dal capoluogo Adriatico del quotidiano meneghino “Corriere della Sera”. Il delitto segnerà i pescaresi e la Pescara ante omicidio dell'avvocato 44enne teatino Fabrizio Fabrizi -del 5 ottobre '91 in piazza Michele Muzii con cinque colpi di calibro 7,65- e via Antonio Lo Feudo sarà, non a caso la via prospicente il nuovo Palazzo di Giustizia. Sulla “Gazzetta ufficiale della Repubblica”, numero 300, del 23 dicembre 1991, invece, si leggerà la concessione da parte dello Stato della medaglia d’oro al valor civile, alla memoria, a Lo Feudo con questa motivazione: «Testimone di una rapina ad una gioielleria, tentava coraggiosamente di bloccare la fuga dei malviventi, ma veniva mortalmente ferito da un colpo di pistola sparatogli contro da uno di essi. Nobilissimo esempio di non comune ardimento e di elette virtù civiche, spinti fino all’estremo sacrificio». La sapiente maestria tecnico-meccanica di Antonio Lo Feudo verrà portata avanti altrettanto egregiamente dal figlio Francesco, nella bottega-laboratorio al 231 di via Firenze. L’esecuzione di Antonio Lo Feudo tornerà alla ribalta in concomitanza con l’arresto, in Olanda, da parte dei carabinieri del Reparto operativo speciale, della terrorista italo-americana Rose Ann Scrocco, di 44 anni, considerata, verosimilmente, la donna nella Fiat Uno rubata in attesa dei fuggiaschi subito dopo la sparatoria. La Scrocco, con condanna del 2003 a 30 anni di reclusione in via definitiva della corte d’assise d’appello di Bologna per il rapimento con relativa soppressione della cinquantenne Mirella Silocchi, moglie dell’industriale del Ferro emiliano Carlo Nicoli, avvenuto il 28 luglio 1989 a Strabella di Collecchio in quel di Parma, sarà annoverata nell’elenco dei trenta grandi latitanti dal ’91 e considerata l’anello di congiunzione tra gli anarco-insurrezionalisti dell’Orai e i sequestratori sardi. Come riferito dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” proprio il 16 gennaio 2016. Pista che di fatto non porterà a nessun ulteriore sviluppo, ma che momentaneamente lascerà supporre, che quella avvenuta la mattina di 35 anni addietro nella cittadina dannunziana non fosse solo un semplice colpo da ladruncoli.
