27 dicembre

Oggi, ma nel 1991, a Bedizzole, in provincia di Brescia, al Parco degli alpini, Davide Cella, elettricista di 19 anni originario della frazione San Vito, uccideva sfondandole il cranio a colpi di spranga di ferro la ex fidanzata Katiuscia Razio, studentessa di 16 della frazione Calcinatello di Calcinato, e la bruciava nella discarica di Garletti, al “Ponte delle carogne”, vicino al fiume Chiese, mentre era ancora agonizzante. Il ragazzo era stato lasciato dalla vittima un mese e mezzo addietro, dopo 18 mesi trascorsi insieme, e lei non voleva più saperne di tornare uniti. La madre Agnese identificherà “Katy” grazie agli anelli e al cuoricino d’oro regalatole dal carnefice per Natale: perché il cadavere carbonizzato, ritrovato la mattina del 28 dicembre dai carabinieri della compagnia di Desenzano del Garda, sarà irriconoscibile. Lui, dopo il primo tentativo di sviare la responsabilità, messo alle strette confesserà. Sosterrà di aver pure tentato il suicidio dopo il rogo appiccato versando sul corpo di lei tre tanichette di benzina riempite al distributore Ip di Ponte San Marco, ma di non esserci riuscito. Dirà anche che lei fosse incinta e che non volesse tenere il bambino. Ma l’autopsia non potrà accertarlo. Prima di farla fuori lui era andata a prenderla alla discoteca “El Kubra” di Calcinato e nel dancing avevano anche avuto un furioso litigio. Stando al racconto di Gianlorenzo Zaniboni, amico di lei, sulle pagine della cronaca bresciana del giornale milanese “Corriere della Sera”, del 24 dicembre 2021, in occasione dei 30 anni dal femminicidio, lui era molto geloso e non voleva che lei andasse a ballare con le amiche. Lei non sopportava più la possessività e la mancanza di libertà. E non sapeva come togliersi Davide di torno. L’assassino (nella foto, particolare, accanto alla malcapitata, nel pezzo sul quotidiano torinese “La Stampa”, del 30 dicembre successivo, a firma di Pino Corrias), dopo essere stato sottoposto a perizia psichiatrica, verrà condannato, in appello, a 11 anni e 6 mesi di carcere, con sentenza che poi diverrà definitiva, rispetto ai 12 anni di reclusione avuti nel giudizio di primo grado.
