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27 Febbraio

Oggi, ma nel 1985, a Palermo, in via Marchese Ugo, davanti al cancello d'ingresso dell'istituto ancelle del Sacro cuore, dove le figlie andavano a scuola, l'imprenditore Pietro Patti (nella foto), di 47 anni, veniva giustiziato dai sicari inviati dalla cosca mafiosa di Brancaccio. Il delitto avveniva con tre colpi di pistola calibro 38, sparati da distanza ravvicinata. L'industriale, titolare di uno stabilimento di lavorazione della frutta secca con sede proprio nell'area delle imprese di Brancaccio, era conosciuto nella zona perché la sua attività esportava soprattutto nocciole, mandorle e pistacchi a livello internazionale. L'ingegner Patti era alla guida della sua Fiat 127 proprio per accompagnare Alessandra, di 17 anni, Raffaella, di 14, Gaia, di 9, e Francesca, di 6, le quattro figlie, nell'istituto. Nell'agguato mortale _ giunto perché Patti aveva più volte fronteggiato le minacce della criminalità organizzata locale e soprattutto per il suo rifiuto categorico di pagare mezzo miliardo di lire di pizzo necessario per poter seguitare a lavorare _ veniva ferita anche la terzogenita Gaia, che era seduta accanto al padre al posto del navigatore. Uno dei tre proiettili le rompeva una costola che perforava un polmone. Verrà salvata dopo una complessa operazione chirurgica nell'ospedale Villa Sofia. L'omicidio non avrà colpevoli assicurati alla giustizia. La primogenita Alessandra, il 18 dicembre 1993, su suggerimento della madre, Angela Pizzolo, discuterà la tesi di laurea in Sociologia della cultura, con il professor Salvatore Costantino, del corso di laurea in Scienze politiche dell'ateneo cittadino, proprio sull'esecuzione criminale del padre, alla quale aveva assistito, e su come la stampa avesse trattato il fatto di sangue.

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