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29 DICEMBRE

Oggi, ma nel 1983, a Torino, Giancarlo Giudice, torinese, classe 1952, camionista, in casa sua, in via Giovanni Cravero, uccideva e sfigurava la sua prima vittima, la prostituta Francesca Pecoraro, di 40 anni.

Il “mostro di Torino” diverrà il serial killer delle lucciole, non giovanissime e poco piacenti, facendone fuori nove, entro il 28 giugno 1986. Il corpo senza vita della Pecoraro verrà rinvenuto accanto al torrente Stura di Lanzo, nel bagagliaio di un’Autobianchi Bianchina, rubata e data alle fiamme.

Poi il “mulo del volante”, come lo chiamavano i suoi colleghi di lavoro della ditta di auto trasporti di Brandizzo, nella cintura del capoluogo sabaudo, per la grande resistenza alla guida su e giù per lo Stivale, si accanirà contro Annunziata Pafundo, di 48, il cui corpo senza vita verrà rinvenuto, il 10 gennaio 1984, in località Mezzi Po, sulla superstrada Torino-Chivasso.

Giudice verrà preso (nella foto, particolare, seduto in caserma, dopo l’arresto), il 28 giugno 1986, durante un controllo di routine al mezzo pesante, a Santhià, nella piazzola della strada Torino-Piacenza, mentre si masturbava, e confesserà di aver tolto la vita «a battone vecchie e brutte, che detestavo». In tal modo sublimava l’odio viscerale per la matrigna, subentrata dopo aver perso la madre, malata di cuore, a 13 anni, ed essere cresciuto per un periodo in collegio "Don Luigi Orione" di Alessandria, fin da quando ne aveva 8.

Vantava trascorsi da consumatore abituale di cocaina e di Lsd, ovvero dietilamide dell’acido lisergico, e aveva tentato sia di suicidarsi che di violentare la nuova moglie del padre. Era ossessionato dalle riviste pornografiche. Aveva lavorato anche come manovale e come barista, sempre precario, aveva disertato il servizio militare di leva, non era nuovo a piccoli furti, aveva messo in atto anche due tentativi di sequestro di persona. Deteneva armi e munizioni nella sua abitazione, ma soprattutto foto che lo ritraevano con le passeggiatrici torinesi.

Mentre il padre, disabile, reduce della campagna di Russia durante il secondo conflitto mondiale, era alcolizzato e morirà di cirrosi epatica. Giudice strangolerà sei delle malcapitate, due le sgozzerà, altrettante le farà fuori con la pistola. Due cadaveri li darà alle fiamme, quattro li abbandonerà in luoghi remoti cercando di occultarli, tre li getterà nell'acqua di canali del comprensorio.

Dopo le già menzionate decedute toccherà ad Addolorata Benvenuto, di 47; a Giovanna Bichi, di 64, costretta a fare la vita anche per mantenere il figlio tossicodipendente; a Maria Corda, di 44, che di fatto era anche un’amica di Giudice, che la chiamava “zia”; a Maria Galfrè, di 44; a Laura Belmonte, di 67, ritenuta la più anziana torinese ad esercitare il mestiere più antico del mondo; a Clelia Mollo, di 58; a Maria Rosa Paoli, di 37, che era anche militante dei Nuclei armati proletari.

Tra tutte le venditrici di piacere si salverà Lucia Geraci, madre di tre figli, dopo aver supplicato in lacrime l’aguzzino di lasciarla andare. Giudice verrà rinchiuso nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia. Poi verrà condannato a 30 anni di carcere più 3 da trascorrere in manicomio criminale. Ma tornerà in libertà a fine ottobre 2008, dopo aver trascorso in reclusione 22 anni.