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6 dicembre

Oggi, ma nel 1821, a Milano, si chiudeva il processo a Silvio Pellico e Piero Maroncelli con la condanna a morte dei due patrioti, accusati dall’Austria di cospirazione nel territorio del Lombardo-Veneto, soggetto alla sovranità assolutista asburgica. Verrà ritenuto uno dei casi giudiziari più di rilievo non solo della storia moderna della città ambrosiana, ma dello stesso Belpaese. Il 6 febbraio 1822, con provvedimento firmato dall’imperatore asburgico Francesco I le pene verranno commutate in 20 anni e 15 di carcere duro. Periodi da scontare prima nella prigione dei Piombi di Venezia, nel sottotetto del palazzo ducale della città lagunare, e poi nella tristemente nota fortezza dello Spielberg, a Brno, in Moravia.

I due condannati per alto tradimento (nella foto, particolare della litografia, realizzata da Giuseppe Moricci, con Pellico nella sua angusta cella nella ex fortezza voluta dal re ceco Premislao Ottocaro II nel XII secolo, tratta dal volume illustrato da Morici e scritto da Giuseppe Pistelli, “Storia d’Italia dal 1815 fino alla promulgazione del regno d’Italia narrata al popolo”, pubblicato dall’editore Angelo Usigli di Firenze nel 1864) entreranno nella storia risorgimentale tricolore, anche grazie al volume scritto da Pellico, “Le mie prigioni”, edito da Giuseppe Bocca, di Torino, nel 1832, aggirando la censura. Sarà il libro italiano più letto nell’Europa ottocentesca.

Il cancelliere di Stato Klemens von Metternich dichiarerà che l’opera letteraria di Pellico sarà in grado di arrecare più danni all’Austria di una guerra perduta. Anche se l’intimo convincimento dell’autore, che in segregazione svilupperà un fermento religioso, sarà, non tanto quella di accusare il duro sistema carcerario austriaco, che pure verrà fatto universalmente conoscere per la sua disumanità, quanto il voler mostrare come la fede potesse essere di estremo conforto nei momenti insopportabili dell’esistenza terrena. Maroncelli, inoltre, aggiungerà le sue considerazioni sul rigido periodo di detenzione nel libro “Addizioni alle Mie prigioni”, stampato in italiano da Louis Baudry, a Parigi, nel 1833. Pellico, di Saluzzo, classe 1789, verrà liberato dalla reclusione, il 17 settembre 1830, dopo la grazia dell’1 agosto di quell’anno.

Maroncelli, di Forlì, del 1795, era stato tratto in arresto, il 6 ottobre 1820, dando vita alla retata che aveva fatto scattare i ferri ai polsi anche di altri affiliati alla setta segreta della carboneria. Il 13 dello stesso mese era stato preso anche Pellico. Nell’iter giudiziario, condotto dallo spietato magistrato Antonio Salvotti -che nel 1847 verrà elevato al rango di consigliere intimo dell’imperatore, anche grazie all’inflessibilità usata nel reprimere le agitazioni rivoluzionarie del 1820-1821, volte ad ottenere l’indipendenza dal giogo straniero- erano entrati, in qualità di fiancheggiatori della sommossa politica sostenuta da Maroncelli e Pellico, anche Angelo Canova, Adeodato Ressi e Giacomo Rezia.