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9 novembre

Oggi, ma nel 1995, a Catania, tra via Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca, Salvatore Catti e Salvatore Torrisi, sicari di Cosa nostra agli ordini di Giuseppe Di Giacomo, reggente del clan mafioso Laudani, recluso in prigione a Firenze, uccidevano, con sei colpi di pistola calibro 7,65, l'avvocato Serafino Famà, classe 1938, proprio mentre usciva dal suo studio. Il trasferimento d'urgenza all'ospedale Garibaldi sarà inutile. A rivelare la trama che avesse condannato a morte il penalista di Misterbianco sarà, il 6 marzo 1997, il collaboratore di giustizia Alfio Giuffrida, ex uomo d'onore del clan Laudani. Di Giacomo era stato arrestato, il 2 settembre 1993, in un casolare di Sant'Alfio, mentre era in intimità con Stella Corrado, moglie del cognato Matteo Di Mauro, con la quale aveva una relazione extraconiugale. Di Giacomo, il cui comportamento fedifrago non era gradito dalla cupola, voleva assolutamente la testimonianza della Corrado al processo, ritenendo che quella soluzione fosse l'unica in grado di produrre la sua scarcerazione. Famà, legale di Di Mauro, aveva invece suggerito alla donna di non prestarsi alla strumentalizzazione e di tacere. Questa dritta professionale lo aveva condannato a morte. Il 4 novembre 1999 gli esecutori materiali dell'omicidio e il mandante verranno condannati all'ergastolo. La pena del carcere a vita verrà confermata in appello, il 22 febbraio 2001, e poi, dopo il passaggio in Corte di cassazione, diverrà definitiva. Il 7 agosto 2012, in piazza Vincenzo Lanza, sul muraglione della casa circondariale catanese, verrà scoperto il murales della legalità con anche il ritratto di Famà (nella foto, particolare), opera dell'artista Antonio Barbagallo, realizzato in collaborazione con l'associazione locale Addio pizzo.