L'italiano in via d'estinzione ma "vi lovvo tutti"

Il relatore parla, la platea sonnecchia, anche grazie alla cantilenante teoria di parole che finiscono in “scion”. Convensscion, misscion, lochesscion, informesscion, situesscion… Il vicino mi strappa dallo stato di trance: «ma ha detto “sortismo”? Ma che vuol dire?» Vedo che smanetta sul telefonino: «Ma non esiste!». Ancora un po’ di benchmarking, di trend, di brand e siamo pronti per il coffee break. Meno male. Dieci minuti di conversazione normale. Forse. Se non c'è il catering con il food.
Ci riaccomodiamo in sala e sono quasi pronta a riprendere il mio stato di semiveglia quando, in un crescendo rossin-bocconiano di invasioni linguistiche storpiate e malpronunciate arriva la chicca: “ratare”. Ratare??? Sul serio? Sembra più un raschiamento di gola che un termine economico...
Cioè, oggi parliamo così? Una versione 4.0 di quei Totò e Peppino che si arrabattavano con il francese aggiungendo la finale “on” a tutte le parole italiane? A quanto pare sì. A quanto pare basta aggiungere le desinenze “are” “ere” e “ire” a qualunque verbo inglese che non si sa come tradurre e il gioco è bello che fatto. To rate? Ratare, ovvio. What else? To quote? Quotare! Ti quoto, amico! E se poi questo, in italiano, non vuol dire “ti cito” come in inglese, ma invece “ti assegno un valore economico”, chissenefrega! Siamo moderni, noi. 
Moderni, vaporosi, resi leggeri da un vocabolario poverissimo; moderni ma pigri e sciatti. E se anni fa poteva anche sembrare figo inserire nei discorsi qualche parola in inglese, oggi queste tecniche da moderni azzeccagarbugli sono logore e fastidiose. La nostra lingua inzeppata di anglismi parla d’altro: parla di articoli copiati e incollati in fretta da siti stranieri e probabilmente non assimilati fino in fondo, parla dell’incapacità di tradurli con competenza, parla del tempo non speso a cercare le parole giuste sul vocabolario. Parla più di inettitudine che di competenza, più di pressappochismo che di affidabilità. A maggior ragione quando si tratta di parole latine che, rifacendo un percorso inverso, rientrano nel nostro quotidiano ammantate dall'aura british. Parole che fanno parte del nostro patrimonio da secoli e che invece vengono improvvisamente pronunciate all’anglosassone. Summit è latino, per l’amor del cielo! Non si può pronunciare sammit! Plus non è plas e iter, vi prego, non può diventare aiter. E soprattutto (e vi giuro che l’ho visto): un aut aut non è, assolutamente, un out out! 
Vi svelo un segreto: il vero sfoggio di cultura, quello che suscita davvero ammirazione e attenzione, ormai è riuscire a fare un discorso in quel bell’italiano preciso e musicale che all’estero ci invidiano tanto. E se proprio volete far restare a bocca aperta, provate con qualche citazione letteraria (ho detto citazione, non quotazione). Quello sì che è stile!
Vabbè, vi lovvo tutti, ma devo andare: vado a scrollare lo schermo del mio smartphone. Fuori dalla finestra, per eliminare le briciole.