TURNO DI NOTTE

La storia di Naya e la voglia di condannare

Naya Rivera non era una madre senza cuore, capace di commettere suicidio annegandosi in un lago davanti agli occhi del figlio di quattro anni. È vero, invece, tutto il contrario di ciò che si era pensato di lei da quando, mercoledì scorso, l’attrice americana protagonista della serie tv “Glee” era scomparsa nel lago Piru in California dove era andata in barca con Josey, il suo bambino. L’altro ieri il suo corpo è stato ritrovato in fondo al lago e, dagli accertamenti della polizia, si è capito che cosa era davvero successo.

Lo ha spiegato lo sceriffo della contea di Ventura, William Ayub: «Pensiamo che era metà pomeriggio quando andarono a nuotare, ma poi la barca si allontanò portata dalle correnti e Naya trovò abbastanza energia per salvare il bambino ma non abbastanza per lei stessa».

È un’epoca, la nostra, in cui siamo spinti a giudicare (e condannare) da una fretta che non ha altra spiegazione se non quella del timore di arrivare secondi nel commentare ciò che accade intorno a noi.

«Ora infatti vediamo come per mezzo di uno specchio, in modo oscuro», dice San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, come a metterci in guardia dall’ambiguità del mondo. La storia di Naya Rivera è un monito a fermarci e sospendere i giudizi in cui spesso versiamo solo il liquido opaco del nostro risentimento.

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