TURNO DI NOTTE

Quegli eterni Don Ferranti d'Italia

In quel romanzo della peste che è un “romanzo nel romanzo” dei Promessi sposi c’è un personaggio, Don Ferrante, che nega che l’inferno che gli sta intorno sia un’epidemia. Alberto Arbasino, morto lunedì scorso, dedicò a lui alcune riflessioni interessanti perché ci parlano di un carattere antropologico immutabile dell’Italia, quello dell’intellettuale pervicacemente deciso a non sporcarsi le mani con la realtà, e pernicioso quasi quanto la peste o (se preferite) il coronavirus.

«Don Ferrante», scriveva Arbasino su Repubblica nel 1985, «è una costante fissa nella nostra cultura. Passa la vita componendo contributi al dibattito in una camera interna, tappandosi le orecchie per non sentire gli eventi in strada. Si occupa solo delle differenze di sfumature nelle posizioni critiche fra confratelli e colleghi. Si serve dell'uomo e della società come tema e pretesto di saggistica accademica sulla società e sull'uomo, li rifiuta e respinge quando la realtà non corrisponde alle sue formule. E Don Ferrante si riproduce identico: dopo decenni di convegni, di interventi, di citazioni, di reverenze, di ripicche, i Don Ferranti non discuterebbero mai di programmi concreti in qualche campo - solo di minimali differenze tra le variazioni ideologiche di altri Don Ferranti...».

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