Acs lascia Atessa per Cassino, gli operai scendono dal tetto

Labbrozzi (Fiom-Cgil): la copertura del capannone è pericolante, meglio non rischiare

ATESSA. Sono dovuti scendere dal tetto del capannone a causa di problemi di sicurezza gli operai dell’Acs che venerdì scorso hanno protestato contro la chiusura e delocalizzazione dello stabilimento. «Il tetto della fabbrica», spiega Davide Labbrozzi, della segreteria provinciale Fiom-Cgil, «era pericolante in più punti e presentava diverse lastre di eternit. Siamo scesi per evitare pericoli inutili».

Nel frattempo però, nonostante la protesta dei 23 dipendenti dello stabilimento duri da giorni e abbia di fatto bloccato la produzione da oltre una settimana, nessuno si è fatto vivo da parte della direzione aziendale. «Questo silenzio è vergognoso», prosegue Labbrozzi, «non solo si adottano decisioni unilaterali, ma si sceglie deliberatamente di non confrontarsi con i lavoratori che invece rischiano tutto assieme al posto di lavoro. Qui ci sono persone che hanno dato l’anima per vent’anni e non possono avere nemmeno il beneficio di un incontro con la direzione».

L’Acs produce spugne per i sedili del Ducato che vengono assemblati presso la Isrighausen e poi spediti in Sevel. Entrambi gli stabilimenti sono a pochissima distanza dall’Acs che è in grado di produrre con soli 23 operai, lìintero fabbisogno della Sevel al massimo della sua produzione. «Il lavoro c’è», continuano a ribadire i dipendenti, «si è deciso di delocalizzare solo perché è più conveniente per l’azienda, ma a noi chi pensa? Cosa faremo in futuro?». La media di età dei dipendenti Acs si aggira sui 40-45 anni. Tra gli operai ci sono anche molte donne, alcune a un passo dalla pensione. «Si tratta di personale che non troverà più un altro posto di lavoro», fa notare Labbrozzi, «e non ci sono fabbriche simili in Val di Sangro». Intanto lo sciopero prosegue. (d.d.l.)

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