Palmoli

Bimbi del bosco, ecco la relazione dei servizi sociali: dall’accusa di scarsa igiene alla frase “vogliamo stare al caldo”

16 Dicembre 2025

La famiglia di Palmoli, la nuova vita dei figli. L’assistente sociale: «I genitori parlano di incomprensioni dovute alla lingua? Per me, sono da escludere». Ora la palla passa alla Corte d’appello

PALMOLI. Il primo giorno hanno annusato i vestiti puliti. Poi le persone che li circondavano. Non era diffidenza, o almeno non solo quella: era un modo per mappare un territorio sconosciuto, fatto di odori che non erano quelli del bosco, del fumo di legna o degli animali. Dallo scorso 20 novembre tre bambini che vivevano immersi nella natura, in un’abitazione di pietra a Palmoli, si ritrovano in una struttura protetta di Vasto. La loro storia è nota: i genitori, Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, hanno perso temporaneamente la responsabilità genitoriale su decisione del tribunale per i minorenni dell’Aquila. Quello che era meno noto, finora, è cosa sia successo dopo. Cosa accade quando tre bimbi cresciuti in un regime di autosufficienza vengono catapultati in una casa famiglia nel 2025. A raccontarlo è la relazione dell’assistente sociale che li segue, un documento arrivato sul tavolo dei giudici il primo dicembre e da oggi al vaglio anche della Corte d’appello, alla quale entro stamattina la difesa – rappresentata dagli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas – presenterà le ultime memorie per chiedere la revoca dell’ordinanza e il ricongiungimento della famiglia anglo-australiana.

L’assistente sociale difende il suo operato e tiene a precisare che lavora in questo settore «da circa vent’anni, nel pieno rispetto della centralità e dell’unicità della persona. Principio cardine che ha guidato l’approccio degli operatori coinvolti è proprio la conoscenza attiva della famiglia in tutte le fasi della gestione della situazione in assenza di giudizio». In altre parole: «Non è in discussione la scelta di vita delle persone, bensì la tutela del diritto all’infanzia». Ma, prima di addentrarsi nel presente, c’è un riassunto delle puntate precedenti di una storia dolorosa. «Questo servizio sociale ha costantemente cercato contatti con i membri della famiglia Trevallion, con l’intento di fornire supporto e condividere un percorso di sostegno ai minori nonché alla famiglia stessa. Tali incontri e scambi comunicativi sono stati mediati: perlopiù dai legali della coppia; per un primo colloquio da persona che ha fatto da interprete; in occasione di una prima visita domiciliare dai carabinieri della stazione di Palmoli, perché con loro i coniugi avevano instaurato un rapporto di fiducia; in occasione di una seconda visita domiciliare, dagli stessi carabinieri e dalla curatrice dei minori».

Non manca una stoccata ai genitori, che – attraverso i loro difensori – avevano sottolineato un problema linguistico: «Per quanto appena esposto, sono da escludere incomprensioni o cattive interpretazioni da attribuirsi a un deficitario utilizzo della lingua italiana da parte dei signori Trevallion». Il ministero è intervenuto sottolineando la regolarità scolastica del percorso dei bambini, che svolgono l’homeschooling. Ma, per la professionista, «il documento della scuola a cui la difesa della coppia fa riferimento, come presunta omissione da parte del servizio sociale, rappresenta una mera comunicazione dell’Istituto comprensivo di Castiglione che riporta la dichiarazione della famiglia a volersi avvalere dell’istruzione parentale, nonché l’esito positivo dell’esame di idoneità alla classe terza della scuola primaria». L’intervento dei carabinieri, nel giorno in cui i bambini sono stati portati via dalla casa del bosco, secondo l’assistente sociale si colloca in un contesto in cui «le modalità di allontanamento» sono state «tese a non generare nei bimbi alcun trauma. Nessun blitz è stato operato da parte delle forze dell’ordine che si sono piuttosto rese garanti della tutela dei bambini dagli organi di stampa, sicuramente pronti a riprendere anche i momenti più delicati di questa vicenda». Poi, il documento analizza la nuova vita. Nella casa di pietra, la luce era quella del fuoco o del sole; l’acqua non arrivava premendo un pulsante. «Dopo un primo momento di smarrimento, i bambini si sono affidati alle cure del personale coinvolto e hanno seguito le indicazioni fornite. La prima notte trascorsa in comunità i bambini erano piuttosto tranquilli e non spaventati, ma il loro sonno è stato turbato dalla presenza, all’interno della stanza, di oggetti di uso comune quali l’interruttore della luce e il pulsante dello sciacquone del bagno».

E ancora: «La prima giornata è stata caratterizzata da continue scoperte. I bambini erano incuriositi da qualsiasi oggetto presente negli ambienti della struttura, sia a livello strutturale che di arredo e giochi». Secondo l’assistente sociale, al momento dell’arrivo nella casa famiglia di Vasto, «l’igiene personale dei minori è apparsa subito scarsa e insufficiente. Gli operatori sono riusciti a fare la doccia ai bambini soltanto nella serata del secondo giorno di collocamento ma solo con acqua, non volendo usare i saponi messi a disposizione. Erano molto incuriositi dal box doccia e, in particolar modo, uno dei fratelli ha dimostrato timore nei confronti del soffione della doccia». L’assistente sociale entra nei rapporti con gli altri minori della struttura: «Riguardo l’interazione con gli altri bambini presenti si denota imbarazzo e diffidenza. Il disagio maggiore si può osservare quando si attivano fra loro confronti sia per le proprie esperienze personali che per le proprie competenze, in quanto si evidenziano deprivazioni di attività condivisibili con il gruppo dei pari, per esempio da un semplice gioco ad attività più specifiche come i compiti scolastici e conoscenze generali».

Il nodo dell’apprendimento è centrale nella relazione: «La primogenita è ancora in una fase alfabetica e non ortografica, poiché non sillaba le lettere, non mette insieme i numeri e non ha raggiunto anche la fase lessicale. Dopo qualche insistenza, i bambini hanno accettato di iniziare esercizi di grafismo e pregrafismo e sono rimasti compiaciuti e sorpresi del risultato raggiunto. Reagiscono con gioia e gratitudine alle varie attenzioni che ricevono, dai vestiti puliti e profumati, che annusano continuamente oltre ad annusare le persone che li circondano, alle varie attività ludiche proposte, esprimendo spesso di voler restare “al caldo”». In sintesi: «A distanza di circa una settimana, è possibile affermare che si può rilevare una generale reazione positiva nei bambini che, con entusiasmo e compiacimento, esplorano gli ambienti e giocano anche con i giochi in plastica che avevano inizialmente rifiutato». Quanto a mamma Catherine, che vive al piano superiore rispetto a quello dei bambini e può incontrarli solo in coincidenza dei pasti, «è necessario approfondire alcuni aspetti. Si può affermare tuttavia che, rispetto ai primi giorni, sta assumendo un atteggiamento più disponibile e collaborativo nei confronti degli operatori della struttura. Dall’osservazione si evince un riconoscimento del ruolo genitoriale e si denota una relazione affettuosa tra genitori e figli». Ora la palla passa alla Corte d’appello.

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