Bimbi nel bosco, sciolto il nodo-scuola: dai genitori l’ok agli insegnanti a casa

La discussione anche davanti al tribunale per i minorenni, i passi avanti di Catherine e Nathan per riavere i tre figli. Arriva la disponibilità del Comune per le maestre a domicilio e le attività dopo le lezioni
PALMOLI. Trovare una via di mezzo tra la libertà assoluta del bosco e le regole rigide della società non è più solo una questione ideologica per la famiglia di Palmoli, ma l’unica strada percorribile per tentare di ricomporre il nucleo familiare. Sul tavolo del tribunale per i minorenni dell’Aquila, accanto alle relazioni degli assistenti sociali e alle strategie difensive, è finita un’ipotesi di lavoro che rappresenta un cambiamento radicale rispetto al passato, una sorta di “terza via” educativa pensata per rispondere alle preoccupazioni dei giudici senza smantellare completamente l’identità della famiglia Trevallion-Birmingham. Si tratta di una versione modificata dell’homeschooling, l’istruzione parentale, che prevede non più l’isolamento didattico gestito esclusivamente dai genitori, ma l’ingresso fisico di insegnanti nella casa in giorni prestabiliti.
Di questa possibilità si è discusso durante l’udienza dello scorso 4 dicembre, quella al termine della quale il collegio giudicante si è riservato la decisione sulla revoca del provvedimento di allontanamento. I tre bambini, che dal 20 novembre vivono in una struttura protetta di Vasto, sono al centro di questa trattativa in cui ogni concessione dei genitori è un passo verso il rientro a casa. La proposta, avanzata in un clima che gli avvocati della difesa Danila Solinas e Marco Femminella definiscono di «collaborazione totale», mira a scardinare il punto critico dell’intera vicenda: non tanto l’istruzione in sé, quanto la socialità.
Il nodo, infatti, è sempre stato legato alle relazioni. Se da un lato il ministero dell’Istruzione – con un intervento diretto del rappresentante del governo Giuseppe Valditara – aveva certificato che sul piano scolastico la situazione era formalmente regolare e che l’educazione parentale è un diritto riconosciuto, dall’altro il tribunale aveva individuato proprio nella chiusura verso l’esterno il pericolo maggiore per la crescita dei minori. I giudici avevano puntato il dito contro la rarità dei contatti con i coetanei e con figure adulte diverse da mamma e papà, leggendo in quell’isolamento un rischio per il loro sviluppo psicofisico.
Per superare questo ostacolo, la difesa e la famiglia hanno adottato una strategia di apertura concreta, resa possibile anche dalla disponibilità delle istituzioni locali. Il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, ha offerto il supporto dell’amministrazione per mettere a disposizione gli insegnanti necessari a realizzare questo modello ibrido di scuola a domicilio. Ma non solo: si è parlato anche dell’avvio di attività di doposcuola, un passaggio fondamentale per garantire ai bambini quella rete di contatti e scambi con i coetanei che finora è mancata o è stata ritenuta insufficiente.
L’idea è quella di costruire un ponte. Da una parte c’è la volontà dei genitori, Nathan e Catherine, di mantenere un controllo diretto sull’educazione dei figli, fedeli a una visione della vita che privilegia la natura e l’autonomia; dall’altra c’è la necessità di dimostrare allo Stato che questa scelta non si traduce in segregazione. Accettare che degli insegnanti entrino regolarmente nella loro casa, nel loro spazio privato, e che i figli frequentino ambienti di socializzazione come il doposcuola, è il segnale tangibile di questo nuovo corso.
I genitori sono pronti a fare questi passi avanti. Hanno compreso che la battaglia di principio sull’autosufficienza rischiava di diventare un muro contro cui sbatteva ogni possibilità di riavere i bambini. In questo senso, l’udienza del 4 dicembre è stata uno spartiacque: non più la difesa ostinata di un modello di vita alternativo, ma la ricerca pragmatica di soluzioni che possano rassicurare la giustizia.
La socialità, quella parola che ricorreva come un’accusa nelle carte del tribunale, diventa ora l’obiettivo da raggiungere attraverso strumenti istituzionali, forniti proprio da quel sistema da cui la famiglia aveva cercato di affrancarsi. Resta ora da capire se questa disponibilità, unita al piano operativo disegnato con l’aiuto del sindaco, sarà ritenuta sufficiente dai giudici per sbloccare la situazione e permettere ai bambini di lasciare la struttura di Vasto.
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