Palmoli

Casa nel bosco, allontanati i tre bimbi. I giudici: «Stiano in una casa famiglia»

21 Novembre 2025

Il caso di Palmoli (Chieti). Arrivato il provvedimento dei giudici aquilani: «I genitori hanno violato i diritti all’integrità fisica e psichica: ecco perché»

PALMOLI. Non è più una questione di filosofia, né di un’utopia bucolica da difendere contro la modernità. È una questione di legge, di protezione, di limiti invalicabili. Per i giudici del tribunale per i minorenni dell’Aquila, la vita scelta dalla coppia anglo-australiana per i propri tre figli non è libertà: è negazione.

Il provvedimento che ha disposto l’allontanamento immediato dei tre bambini – la femmina di otto anni e i due gemelli di sei – dalla casa nel bosco di Palmoli si fonda su un atto d’accusa che non lascia margini di interpretazione. Le motivazioni sono scritte nella pietra del decreto eseguito ieri pomeriggio: «In considerazione delle gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza, i genitori vanno sospesi dalla responsabilità genitoriale».

È questo il cuore della decisione. Non si tratta di giudicare uno stile di vita alternativo, ma di sanzionare una condizione che – per i magistrati – è di pericolo oggettivo. Il dispositivo firmato dal collegio presieduto da Cecilia Angrisano è chirurgico nel motivare l’urgenza dell’intervento: «È necessario ordinare l’allontanamento dei minori dall’abitazione familiare, in considerazione del pericolo per l’integrità fisica derivante dalla condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge». L’epilogo è arrivato sotto la pioggia di un pomeriggio di fine novembre, quando gli assistenti sociali sono saliti fino alla contrada immersa nella natura per eseguire l’ordine, accompagnati dai carabinieri. I bambini non possono più stare lì, accanto al papà Nathan Trevallion e alla madre Catherine Birmingham (difesi dall’avvocato Giovanni Angelucci). Quella casa senza luce, senza acqua corrente, riscaldata solo dalla legna e priva di servizi igienici a norma, non è un luogo idoneo alla crescita. Da ieri sera, i tre fratelli si trovano in una «casa famiglia», una struttura protetta. Con una clausola fondamentale che preserva l’ultimo filo di continuità affettiva in questo strappo traumatico: la mamma può stare con loro.

Il decreto deposita agli atti una verità giudiziaria che spazza via la narrazione romantica del «buon selvaggio». Quello che per la coppia era un ritorno alla natura, per la procura dei minorenni – che ha avviato l’intera procedura – è una «condizione di sostanziale abbandono». Analizzando la quotidianità imposta ai minori, il pubblico ministero evidenzia come la scelta radicale dei genitori si sia tradotta in una privazione sistematica. Si legge nel provvedimento che i bambini versano in una «situazione abitativa disagevole e insalubre», aggravata dalla totale assenza di «istruzione e assistenza sanitaria». Non è povertà, secondo i giudici, è incuria.

A pesare come un macigno è stato l’atteggiamento della coppia, descritto nel decreto come ostativo e pregiudizievole. Il rifiuto delle cure e dei controlli medici è stato il punto di non ritorno. Le carte del procedimento riportano fedelmente la resistenza opposta ai servizi sociali e la richiesta, avanzata dai genitori, di ottenere 50.000 euro per ogni minore come condizione per sottoporre i figli a visite specialistiche. Una pretesa che il Tribunale non ha liquidato come una stravaganza, ma ha censurato come la prova di una chiusura ideologica pericolosa: «Il rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge» costituisce una violazione diretta del diritto alla salute, esponendo i minori a rischi non calcolati. Ma è sulla «vita di relazione» e sull'educazione che il decreto affonda il colpo più duro, smontando le tesi difensive dell'«unschooling» e dell'isolamento felice. I giudici scrivono che i minori sono stati privati del diritto fondamentale alla socialità, confinati in un microcosmo che ne può limitare lo sviluppo. Quanto all’istruzione scolastica, “i genitori hanno prodotto un certificato di idoneità alla classe terza” per la bimba rilasciato da una scuola di Brescia. Chatherine e Nathan “non hanno esibito al Servizio Sociale, né prodotto in giudizio, la dichiarazione annuale al dirigente scolastico della scuola più vicina sulla capacità tecnica o economica di provvedere all’insegnamento parentale, diretta a consentire al dirigente scolastico il controllo della fondatezza di quanto dichiarato”. Va peraltro “evidenziato”, per i giudici, che l’ordinanza emessa “non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione”, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, “produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico del minore”.

Il concetto è che un vuoto formativo e relazionale che rischia di compromettere irreversibilmente la crescita psicofisica dei bambini, impedendo loro di acquisire gli strumenti necessari per interagire con il mondo esterno e costruirsi una propria identità autonoma. Più nel dettaglio, scrivono i giudici: “La deprivazione del confronto tra pari in età da scuola elementare (circa 6-11 anni) può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico. Il gruppo dei pari è un contesto fondamentale di socializzazione e di sviluppo cognitivo/emotivo, che offre opportunità uniche rispetto all'interazione con gli adulti”.

C’è poi un passaggio del decreto, cruciale e inedito, in cui il tribunale punta l’indice contro l’esposizione mediatica della vicenda. Si parla di violazione del diritto alla «riservatezza» dei minori, un riferimento che sembra stigmatizzare la scelta di trasformare la vita dei figli in un manifesto ideologico pubblico, esponendoli all'attenzione morbosa dei media internazionali e dei social network, dove nelle ultime ore erano state lanciate petizioni e raccolte fondi. Per i giudici, anche questo è un sintomo di inadeguatezza genitoriale: l'incapacità di proteggere la sfera privata dei propri figli, sacrificata sull'altare di una battaglia di principio. Scrivono i giudici: “I genitori, con tale comportamento, hanno mostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale a essi favorevole in un procedimento nel quale assumono una posizione contrapposta a quella dei figli e in conflitto di interessi con gli stessi. E tale risultato processuale è da essi perseguito non all’interno del processo, avvalendosi dei diritti garantiti alle parti dalla legge processuale, ma invocando pressioni dell’opinione pubblica sull’esercizio della giurisdizione”.

La sospensione della responsabilità genitoriale per entrambi – sia per la madre che per il padre – e la nomina di un tutore provvisorio, l’avvocato Maria Luisa Palladino del foro di Vasto, sono la conseguenza logica di questo quadro probatorio.

Il decreto incarica ora il servizio sociale di assicurare ai minori un «adeguato sostegno psicologico» per affrontare il trauma del distacco. I servizi dovranno inoltre «disciplinare la frequentazione tra genitori e figli», tenendo conto delle gravissime motivazioni del provvedimento. Questo significa che il rapporto con il padre, rimasto escluso dalla collocazione in struttura, non è reciso definitivamente, ma sarà strettamente vigilato e regolato, subordinato alla verifica di un reale cambiamento di rotta.

L’ordinanza ha anche una dimensione internazionale: il dispositivo ordina di comunicare il provvedimento alle autorità consolari del Regno Unito e dell'Australia, attivando i canali diplomatici previsti dalla Convenzione di Vienna. Un dettaglio che sottolinea come la tutela del minore non conosca confini e chiami in causa la responsabilità delle istituzioni a ogni livello.

L’esecuzione del provvedimento segna la fine dell’esperienza di Palmoli così come l’abbiamo conosciuta, iniziata nell’ottobre 2024 con la corsa in ospedale per l’intossicazione da funghi. Il bosco, l’altalena, gli animali, il fuoco acceso tra le pietre: tutto questo, da oggi, è il passato. Il presente è una comunità protetta, mura solide, acqua calda, e un percorso di recupero della socialità perduta. La sentenza stabilisce un principio: la libertà di scelta degli adulti trova un limite invalicabile quando, secondo la valutazione dei magistrati, essa sottrae ai minori gli strumenti fondamentali – sociali, sanitari, educativi – per appartenere al mondo reale. Che sia «tossico» o meno, è quel mondo che ieri è entrato prepotentemente nella vita dei tre bambini, portandoli via dal bosco.

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