Cori contro la polizia allo stadio, i giudici: non è violenza, Daspo annullato

Il Tar cancella il divieto di accesso allo stadio per 6 anni nei confronti di un ultrà del Francavilla calcio. Aveva denigrato le forze dell’ordine gridando «chi non salta è un celerino» e «la Digos fa schifo»
CHIETI. «Chi non salta è un celerino». E ancora: «Che schifo la Digos». Urlare queste frasi in faccia alle forze dell’ordine è un atto denigratorio e provocatorio. Ma, per la legge italiana, non è violenza. E dunque non basta per cacciare un ultrà dallo stadio. È il verdetto con cui il tribunale amministrativo regionale di Pescara ha annullato un Daspo (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive) della durata di sei anni emesso dalla questura di Chieti, accogliendo il ricorso di un tifoso del Francavilla calcio, difeso dall’avvocato Giovanni Angelucci. I giudici amministrativi hanno smontato il provvedimento applicando questo concetto: l’insulto, se resta confinato alle parole e non innesca disordini, non giustifica una misura di prevenzione così radicale.
La vicenda prende le mosse a Casoli il 19 novembre 2023, durante un incontro del campionato di Promozione, girone C. Sugli spalti, un tifoso del Francavilla già noto alle forze dell’ordine intona i cori offensivi finiti nel rapporto. Ma per il collegio presieduto da Paolo Passoni – con Massimiliano Balloriani consigliere e Silvio Lomazzi estensore – manca il requisito fondamentale. Il presupposto richiesto dalla legge per questo provvedimento, scrivono i magistrati nella sentenza, «è costituito dalla specificità del comportamento e dall’idoneità di esso a incitare alla violenza, ossia a turbare la tranquillità della manifestazione sportiva».
Nel caso in esame, invece, «il contenuto dei cori è apparso unicamente denigratorio e provocatorio, privo di connotazione violenta». A supporto di questa tesi, il Tar elenca tre elementi decisivi tenuti in conto. Il primo riguarda «il luogo e il momento in cui sono stati pronunciati». Il secondo si concentra sul «ridotto numero di partecipanti all’evento sportivo e di componenti delle forze dell’ordine». Il terzo, e forse più rilevante per scardinare l’accusa di pericolosità, sottolinea «l’assenza di segnali e prodromi di scontri tra tifosi o tra una fazione di queste e le forze dell’ordine, anzi il fatto essendo avvenuto in un clima di agevole gestione dell’ordine pubblico».
Per comprendere l’entità dello scontro giudiziario bisogna tornare al 7 marzo 2024. Il questore di Chieti, basandosi sull’informativa dei carabinieri di Casoli, applica una misura severa, dettata dal profilo dell’ultrà, definito «recidivo» in quanto già destinatario in passato di un divieto analogo e con precedenti di polizia. Non solo l’allontanamento dagli impianti sportivi: scatta anche l’obbligo di firma, ovvero la prescrizione di recarsi due volte in caserma durante ogni partita della squadra giallorossa.
Il giovane impugna il provvedimento, ma la prefettura gli dà torto. La battaglia si sposta in tribunale su due binari. Il primo segnale arriva dal giudice per le indagini preliminari di Chieti, chiamato a esprimersi sull’obbligo di firma. Il magistrato non lo convalida, ritenendo che quei cori non avessero la necessaria portata violenta. Ottenuta questa prima vittoria, il tifoso si rivolge al Tar chiedendo l’annullamento del Daspo. Anzitutto, i giudici amministrativi sospendono il provvedimento, in attesa di giudicarlo nel merito. In altre parole: non c’è ancora una sentenza, ma l’ultrà può tornare allo stadio. La difesa sostiene che siano stati «travisati i fatti» e ritiene che sia stato violato «il principio di proporzionalità». Il ricorso punta con decisione sui vizi formali: «Era mancata la comunicazione di avvio del procedimento e non vi erano state ragioni di urgenza per ometterla, giacché il Daspo veniva emesso quattro mesi dopo i fatti contestati». Inoltre, l’avvocato lamenta che «vi erano state carenze istruttorie» e che la sanzione risultava «sproporzionata nella sua durata».
Il Tar giudica il ricorso fondato. I giudici amministrativi evidenziano che il presupposto del Daspo «sono episodi e condotte caratterizzati da violenza al fine di preservare il regolare svolgimento delle manifestazioni sportive, a tutela dell’ordine pubblico e, soprattutto, dell’incolumità e della sicurezza pubblica nei luoghi in cui tali eventi si svolgono». Il provvedimento impugnato, invece, reca «un divieto di vastissima portata spaziale, oltre che di durata sessennale». Tirando le somme, il tribunale amministrativo decide di «prestare piena adesione» al pronunciamento del tribunale di Chieti, che aveva già «diffusamente argomentato circa la mancanza di presupposti di legge» per l’emissione della misura «con motivazione approfondita, completa ed esaustiva». Il decreto del questore è annullato. Tradotto: l’ultrà può continuare ad andare allo stadio. Con licenza di denigrare le forze dell’ordine.
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