Francavilla

Corruzione e rifiuti interrati al cimitero di Francavilla al Mare: in 11 sotto processo

20 Novembre 2025

Finiscono a giudizio l’imprenditore De Francesco, i suoi collaboratori, il funzionario Basile e il figlio. Contestata una violazione ambientale a Luigi Febo, imputato nella veste di direttore dei lavori

CHIETI. L’amianto si mischiava alle ossa, i rifiuti pericolosi sostituivano la terra e un fiume di denaro scorreva, invisibile, tra l’Abruzzo e Barcellona. Non è la trama di un noir di provincia, anche se ne ha tutti gli ingredienti oscuri: il cimitero, i soldi in contanti, i cadaveri spostati come pacchi ingombranti per fare spazio ad attività illecite. È lo scenario, crudo e documentato, che la procura della Repubblica di Chieti ha presentato in tribunale. E adesso quello scenario diventa un processo.

Il giudice Enrico Colagreco, su richiesta del pubblico ministero Giancarlo Ciani, ha rinviato a giudizio otto persone e tre società nell’ambito dell’inchiesta sul cimitero di Francavilla al Mare. C’è l’imprenditoria, rappresentata da Franco Antonio De Francesco, il dominus della ditta che operava nel camposanto, insieme al fratello Alessandro, alla compagna Lesya Tsiluyko e al collaboratore Marcello Gianferotti. C’è l’amministrazione pubblica, con l’architetto Maurizio Basile, funzionario del Comune di Francavilla e responsabile unico del procedimento per l’ampliamento del cimitero. E c’è la competenza tecnica che si mischia alla politica: Luigi Febo, direttore dei lavori. Febo è un nome che pesa, essendo presidente del consiglio comunale di Chieti, anche se in questa storia entra – è bene precisarlo subito – non per il suo ruolo istituzionale, ma professionale, e peraltro con una posizione marginale, legata unicamente alla violazione di una norma ambientale.

Secondo la contestazione dell’accusa, il cimitero di San Franco era diventato una discarica abusiva. Non un mucchietto di calcinacci dimenticati in un angolo, ma una montagna di immondizia sepolta: 15.300 metri cubi di rifiuti. Un volume enorme, difficile persino da immaginare, nascosto sotto i piedi di chi andava a portare un fiore ai propri cari. E non era solo terra di scarto: lì sotto, sostiene il pm, sono finiti rifiuti pericolosi, materiali contenenti fibre di amianto, scarti di lavorazione che mai avrebbero dovuto varcare quella soglia. A svelarlo sono state le indagini dei carabinieri (nucleo investigativo del comando provinciale, compagnia di Chieti, stazione di Francavilla e gruppo forestale) e della sezione di polizia giudiziaria della guardia di finanza, che ha seguito la scia dei soldi.

Il meccanismo, secondo la procura, era oliato da un sistema corruttivo classico nella forma ma sofisticato nella sostanza. L’accusa più grave, quella che rischia di pesare come un macigno sul futuro degli imputati, è proprio la corruzione. Il patto scellerato. Da una parte i De Francesco e i loro collaboratori, pronti a pagare per fare come volevano; dall’altra Basile, il controllore che avrebbe scelto di non controllare. Anzi, di chiudere entrambi gli occhi.

Le cifre e i dettagli di questo presunto scambio sono rilevanti. Si parla di un totale di 129.285 euro, tra denaro contante e utilità varie. E qui la storia prende una piega internazionale, perché il prezzo del silenzio non sarebbe stato pagato solo con le classiche mazzette – sebbene l’accusa parli di «continue somme di denaro in contante» per oltre 31mila euro consegnate a Basile tra il 2016 e il 2021 – ma con benefit destinati al figlio del funzionario, Matteo Basile. È qui che entra in scena la pista spagnola. Matteo, anch’egli rinviato a giudizio, ha ottenuto un’assunzione in una società di diritto spagnolo, la Gre Development Sl. Uno stipendio vero e proprio, oltre 15mila euro percepiti in meno di un anno, tra il giugno 2021 e l’aprile 2022. Ma non basta. Nel pacchetto “do ut des”, secondo gli inquirenti, c’era anche il pagamento dell’affitto di un appartamento a Barcellona e, ciliegina sulla torta, la nomina del giovane ad amministratore unico della società, oltre a vari incarichi di consulenza. Un futuro dorato costruito, letteralmente, sopra una discarica.

In cambio di tutto questo, cosa avrebbe fatto l’architetto Basile? Avrebbe compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio. Avrebbe ignorato le segnalazioni, persino quelle interne arrivate dal suo coadiutore Vincenzo Tenaglia (che in questa storia è totalmente estraneo alle accuse). Avrebbe fatto finta di non vedere le «evidenti lacune, incoerenze e incongruenze» nella documentazione della ditta. Avrebbe, in sostanza, venduto la sua funzione di garanzia permettendo che il cimitero diventasse il tappeto sotto cui nascondere la polvere tossica dell’impresa.

Ma c’è un dettaglio che fa correre un brivido lungo la schiena, più di ogni cifra o reato ambientale: l’accusa di soppressione di cadavere. I De Francesco e un operaio (che ha scelto la via del patteggiamento) devono rispondere di aver rimosso due corpi dai rispettivi sepolcri. Non una traslazione pietosa, ma uno scavo brutale. La procura dice che ne hanno interrato «i brandelli». I resti umani trattati come ingombro.

Febo, Basile padre e il coordinatore della sicurezza Massimiliano Nerone avrebbero omesso quel controllo che avrebbe potuto fermare la trasformazione del cimitero in discarica. Le società coinvolte – la De Francesco costruzioni, la Cimitero San Franco e la Arta srl (da non confondere assolutamente con l’Agenzia regionale per la tutela ambientale, che anzi ha fornito le analisi alla procura) – sono chiamate a rispondere per la responsabilità amministrativa. Tutti gli imputati, dal primo all’ultimo, si professano innocenti. I loro avvocati – Marco Femminella, Stefano Azzariti, Marco De Merolis, Antonio Luciani, Emanuele Dell’Elce, Giuseppe De Cinque e Domenico Di Berardino – sono pronti a dare battaglia.

Il Comune di Francavilla si è costituito parte civile con l’avvocato Marco Spagnuolo. Chiede mezzo milione di euro di danni. Una cifra simbolica e reale allo stesso tempo, per risarcire una comunità che si è sentita violata nel suo luogo più sacro. Tra sei mesi, dunque, si aprirà il processo a un sistema, per ora presunto. Ma sarà anche il tentativo di restituire dignità a quei «brandelli» e a quella terra, usati come merce di scambio in un affare che, secondo l’accusa, non aveva rispetto per niente. Nemmeno per la morte.

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