Famiglia del bosco, «I bimbi a Natale con i genitori ma sotto controllo dei giudici»

L’ultima ipotesi: ricongiungimento immediato con il monitoraggio dei servizi sociali
PALMOLI. Un Natale con i genitori, ma sotto il controllo dei servizi sociali. È questa una delle ipotesi in vista del pronunciamento del tribunale per i minorenni dell’Aquila, che deve ancora esprimersi sulla richiesta di ricongiungimento dei tre bambini del bosco di Palmoli con mamma Catherine Birmingham e papà Nathan Trevallion. Mentre le luci delle festività si accendono ovunque, per questa famiglia sospesa tra le aule di giustizia e il desiderio di normalità, le prossime ore saranno decisive per capire se il 25 dicembre sarà un giorno di festa o l’ennesimo capitolo di una lunga attesa.
La Corte d’appello dell’Aquila, con l’ordinanza di rigetto depositata due giorni fa, ha ritenuto che il provvedimento di allontanamento del 20 novembre scorso fosse fondato su valide ragioni giuridiche in quel preciso momento. Una decisione che, seppur amara per la difesa, ha fissato un punto fermo sul passato senza però ipotecare il futuro. Dunque, toccherà ora ai giudici di primo grado valutare gli innegabili passi in avanti fatti dalla famiglia, per stessa ammissione della Corte che nel suo dispositivo ha parlato esplicitamente di progressi «apprezzabili». È in questo stretto margine di manovra, tra il rigore della legge e l'evidenza del cambiamento, che si inserisce la possibile “terza via”.
In questo contesto, tra le possibili alternative al vaglio dei magistrati, il tribunale potrebbe decidere di far ricongiungere i piccoli con i genitori, ma, al tempo stesso, non riaffidare la responsabilità genitoriale a Nathan e Catherine, al momento sospesa, mantenendola in capo ai servizi sociali. Una soluzione di compromesso che garantirebbe la sicurezza affettiva dei minori senza abbassare la guardia istituzionale. Chiariamo: la dicitura “controllo dei servizi sociali” andrebbe considerata in questa fase come un monitoraggio costante, una tutela attiva dello Stato, ma l’effetto pratico sarebbe che i tre piccoli tornerebbero a vivere con mamma e papà. Non più nel vecchio rudere, ma nella nuova casa, sempre immersa nella natura, messa a disposizione dal ristoratore Armando Carusi. Una dimora sicura, individuata come soluzione ponte in attesa che l’abitazione in pietre e legno di contrada Mondola venga sottoposta ai necessari lavori per renderla conforme alle prescrizioni di legge.
La fattibilità di questo percorso poggia su basi solide, certificate non solo dalle memorie difensive ma anche dagli organi terzi. I passi in avanti sono stati evidenziati pure nelle ultime relazioni della curatrice speciale, l’avvocato Marika Bolognese, e della tutrice Maria Luisa Palladino. I nodi che avevano portato al drastico provvedimento di novembre sembrano essersi sciolti uno dopo l’altro. Il problema abitativo, come detto, è stato risolto con il trasferimento nella nuova casa colonica. Anche il fronte sanitario, un tempo terreno di aspro scontro ideologico, è stato pacificato: i genitori hanno detto ok al completamento del ciclo vaccinale, oltre che a tutte le visite mediche necessarie per i bimbi.
Stesso discorso per l’istruzione, forse l’aspetto che più aveva allarmato le istituzioni. L’unschooling radicale è stato archiviato; al suo posto c’è il via libera alla presenza di una maestra a domicilio, un segnale inequivocabile della volontà di garantire ai figli quell’alfabetizzazione formale richiesta dall’ordinamento italiano. Quanto alla socialità, spesso dipinta come inesistente nelle prime fasi della cronaca, gli avvocati difensori, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno prodotto una serie di fotografie che raccontano una realtà diversa. Immagini che dimostrerebbero come, in realtà, i tre bimbi incontrassero coetanei in locali e al parco e fossero anche andati in vacanza con la famiglia, smontando la narrazione di un isolamento totale e dannoso.
Tuttavia, mentre la burocrazia segue i suoi tempi, il cuore dei protagonisti batte un ritmo diverso, segnato dall’ansia e dalla malinconia. Per Catherine, questi sono giorni difficili, vissuti in una sorta di limbo crudele. La madre vive nella struttura protetta di Vasto, ma la vicinanza fisica ai figli è a orologeria: alloggia in un piano superiore rispetto a quello dove si trovano i bambini e può incontrarli solo in momenti prestabiliti, in corrispondenza dei pasti. Ieri pomeriggio la donna ha avuto un colloquio con l’avvocato Solinas proprio all’esterno della struttura.
L’immagine che ne è emersa è quella di una madre che cerca di mantenere la dignità nel dolore. Indossava una gonna rosa e un cappotto verde, colori che spiccavano nel grigiore del pomeriggio invernale, ma Catherine è apparsa in volto stanca, profondamente preoccupata. È uscita dalla casa famiglia e si è trattenuta per circa un’ora con il suo legale, cercando forse nelle parole dell’avvocato quella speranza che le lunghe ore di solitudine al piano di sopra rischiano di erodere.
Diverso, ma ugualmente toccante, è l’esilio di papà Nathan. Ieri è rimasto a Palmoli, perché il calendario delle visite, rigido e implacabile, non prevedeva che fosse uno dei due giorni in cui può vedere i piccoli. Lontano dai suoi bambini, l'uomo continua a fare la spola tra due mondi. Da una parte la nuova casa, dove si è già trasferito nella speranza di riabbracciare spesso la sua famiglia e dove tutto è pronto per accoglierli; dall'altra quella del bosco, il vecchio rifugio di pietra, dove torna quotidianamente per accudire gli animali. Lì, tra le bestie da governare e il silenzio della natura, Nathan coltiva l’attesa di un provvedimento che possa trasformare questo Natale sorvegliato nel primo giorno di una nuova vita insieme.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

